Anche se il rock non vi interessa, provate a leggere: forse riderete.
Ma se il rock è la vostra musica, forse vi commuoverete.
Ieri io, mia figlia Francesca, Robi, Patty e Fulvio partiamo da Trieste per andare a Piazzola sul Brenta (provincia di Padova): suona John Fogerty. Il nome lo conoscono quattro gatti, le canzoni dei vecchi e gloriosi Creedence Clearwater Revival (grande band americana che dominò cuori e classifiche a cavallo del 1970) le hanno sentite tutti, anche le orecchie più distratte.
Arriviamo: il posto è magnifico (comprensorio, parco e piazzale di una splendida villa veneta) ma clamorosamente inadatto a un concerto rock. Tanto più che gli organizzatori hanno piazzato i posti in un modo insensato: 1500 sedie in una specie di recinto abbastanza vicino al palco, altri 1500 posti in una lontana gradinata costruita sui tubi Innocenti.
Sul Web noi (sperando di avere posti vicini al palco) avevamo preso i biglietti generici (quelli, scopriamo adesso, della gradinata).
"Nessun problema" dico a Francesca: "Vedrai che appena Fogerty attacca a suonare, tutti e tremila schizziamo in piedi e voliamo in platea"
(Non sono un grande profeta)
Il concerto inizia con mezz'ora di ritardo perchè quelli della security devono far ob-bli-ga-to-ria-men-te sedere i 1500 del recinto.
Intanto, noi cinque ce ne siamo andati via dalle stupide sedie della gradinata per piazzarci un po' più vicini al palco, sulle transenne che delimitano il recinto.
Finalmente, alle dieci, arrivano John e la sua band (lui alla voce, chitarra elettrica Gibson, armonica, più gli altri sei: basso, batteria, tastiere, violino, due chitarre).
Partono con una tostissima e rombante Hey tonight che sveglierebbe anche Tutankamen.
Noi cinque e pochi altri cominciamo a batter le mani, cantare, saltare, travolti dall'energia che arriva giù dal palco e da questo sessantaquattrenne John Cameron Fogerty che canta, suona e corre.
Mi guardo in giro e non credo ai miei occhi: mummie imbalsamate, pubblico immobile e catatonico, come al cinema durante un film di Andrej Tarkovski in lingua originale sottotitolato in giapponese.
Mai vista un'apatia simile in 39 anni di concerti.
E il concerto continua così, con la band e Fogerty che si dannano l'anima per accendere almeno un barlume di vita in questi defunti.
Duecento o trecento di noi che fanno di tutto per replicare alla forza e alla gioia che ci arriva dai musicisti.
Ramble tamble elettricissima con quel micidiale assolo centrale, Who'll stop the rain da far scoppiare il cuore, Keep on chooghin' esplosiva, Fogerty che tira fuori esaltanti duetti chitarra/violino, il poderoso batterista che manda tamburi e piatti in orbita, una band eccellente...
E' un'esibizione straordinaria quando molti altri (davanti a un pubblico così inerte) avrebbero timbrato il cartellino della "prestazione minima" (un'oretta e venti di concerto, prendi i soldi e scappa e chi s'è visto s'è visto) oppure avrebbero (ad esempio Dylan) mandato gli spettatori a cagare.
Invece questi qua fanno il possibile e l'impossibile per costringere la gente ad alzare il culo dalle sedie, a battere le manine sante, ad aprire le boccucce per un coro che sia uno.
E almeno i duecento/trecento rockettari esistono e danno segni che esiste vita nella notte.
Io vado davanti alla gradinata a saltar su e giù e a batter le mani alte sopra la testa incitando le mummie a mandar segnali di elettroencefalogramma attivo, qualcuno timidamente reagisce.
Poi (nelle pause tra un pezzo e l'altro) urlo a squarciagola rivolto ai 1500 del recinto: "muovetevi!! E' rock!! Move on!! Up up up up up up!!! E' Rock! Muovetevi!"
Salto, urlo, canto, applaudo, la t-shirt di Young & Crazy Horse 2001 è zuppa di sudore, grondo come una fontanella.
Dopo un'ora e mezza qualcuno nelle prime file non resiste più, si alza malgrado le proteste delle mummie e va sotto il palco.
In un secondo, Robi salta oltre la transenna.
Io faccio come Mosè col passaggio del Maro Rosso: sgancio due transenne e apro il varco.
Dentro.
Francesca, Patty, Fulvio, altri rocker corriamo verso il palco, nei corridoi tra le file delle sedie dove gli imbalsamati restano immobili, agghiacciati a guardare spaventati l'invasione degli scalmanati, con l'espressione sbigottita che potevano avere i patrizi romani quando nell'Urbe irruppero i barbari.
Ma finalmente Fogerty e i suoi si trovano agli occhi davanti un pubblico come Dio comanda.
Risultato: il tripudio. Se fin lì dal palco era arrivata energia, la mezz'ora finale è stratosferica.
I Heard It Through The Gravepine è possente, un blues nerissimo e gigantesco. Fortunate son è rabbiosa come il suo testo (attacco ai raccomandati figli di papà che sfuggirono il Viet-nam) merita, Rockin' all over the world è la felicissima fine del mondo che te lo fa riassaporare.
Tramutare quella serata mummiesca in un trionfo rock di due ore e dieci è roba che sanno fare solo i giganti.
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