Sull'Espresso di questa settimana, Umberto Eco scrive un interessante articolo in cui riprende un vecchio tema:
chi è il più grande e universale?
Charles Schulz o Jerome Salinger?
Chi resterà nei secoli?
Snoopy & C o il giovane Holden?
Per quanto riguarda me, non ho mai avuto la minimissima esitazione:
per il mio cuore e la mia anima, i Peanuts sono una delle dieci opere artistiche più alte di tutti i tempi.
Ecco il pezzo di Umberto Eco:
La prima (e purtroppo l'ultima) volta che l'ho incontrato, appena mi sono seduto al tavolo di quel bar, mi ha guardato con la sua faccia di fanciullo anziano o di anziano fanciullo, e mi ha chiesto: "Cosa ne pensa di Gesù Cristo?".
Adesso potrei lanciare un concorso per chi indovina chi fosse il personaggio, ma sarebbe difficile trovare un vincitore, quindi svelo l'arcano. Quel signore era Charles Monroe Schulz, l'autore dei Peanuts ovvero il padre di Charlie Brown. Ho saputo dopo che nella vita ha avuto momenti di interesse per i problemi religiosi, e altri, diremo, più laici, e mi diceva l'altra settimana sua moglie Jeannie che domande del genere lui spesso le faceva semplicemente perché era interessato alla gente, e voleva sapere che cosa pensavano. Non so, è che chi legge (e rilegge) i Peanuts non vi trova mai riferimenti espliciti a problemi religiosi e ad ansie metafisiche - e come potrebbero averne dei bambini che apparentemente sono ossessionati solo dal baseball?
E tuttavia di Charlie Brown si è scritto che "è capace di variazioni di umore di tono shakespeariano", la copertina di 'Linus' è senza ombra di dubbio l'oggetto transizionale di Winnicott, alle spalle di Lucy, di Schroeder e persino di Snoopy si agita l'ombra di Freud, mentre Pig Pen, dai capelli perennemente intristiti di forfora e le scarpe senza remissione infangate pronuncia parole degne di Beckett quando dice "su di me si addensa la polvere di innumerevoli secoli".
Insomma, Charles Schulz, che continuamente si stupiva che persone che lui considerava dei geni lo ammirassero, apparentemente disinteressato alle vicende del mondo e alle contraddizioni del suo tempo, è stato un grande poeta che ci ha continuamente raccontato, con due colpi di matita, la sua versione della condizione umana. Non so cosa Schulz davvero pensasse di Gesù Cristo, ma la sua era certo una forma di incantata religiosità.
Incanto irripetibile. Ed è stato naturale che avesse proibito che qualcuno dopo la sua morte facesse rivivere i suoi personaggi (come quasi sempre fa la macchina dell'industria dell'intrattenimento). Come accade ai classici, i Peanuts non possono essere aggiornati ma solo continuamente ripubblicati e riletti (tra parentesi, se esistesse ancora qualcuno che non li ha mai presi sul serio, ricordo che tutte le storie di Charlie Brown sono ora ripubblicate dalla Baldini Castoldi Dalai).
Una settimana fa, per celebrare i sessant'anni di Charlie Brown, si sono riuniti a Bologna in un'aula universitaria, insieme a Jeannie Schulz, che ha rievocato con grazia episodi della vita di suo marito, e a Fulvia Serra, direttrice di 'Linus' negli anni Ottanta, i pochi superstiti di coloro che avevano introdotto i Peanuts in Italia: Annamaria Gandini che aveva affiancato l'indimenticabile Giovanni prima per pubblicare in volume le strisce di Charlie Brown, nel 1963 (e io ne avevo scritto l'introduzione) e poi per dare vita nel 1965 alla rivista 'Linus' - e anche qui (scomparsi con Giovanni Gandini altri protagonisti di quegli anni sessanta come Franco Cavallone e Ranieri Carano) i superstiti eravamo Salvatore Gregorietti (che di 'Linus' aveva disegnato le copertine), e io che sul primo numero della rivista avevo chiacchierato con Elio Vittorini e Oreste del Buono, parlando della grandezza di Schulz.
Leggendo i resoconti giornalistici della serata bolognese vedo che mi viene attribuita l'idea che Schulz fosse più grande di Salinger. Certamente mi sento di condividere questa idea, perché Salinger rimane legato a una stagione, e al linguaggio giovanile di quegli anni, mentre Schulz gode invece dell'eternità di quei lirici greci che studiavamo a scuola e che ci raccontavano che "dormono gli uccelli dalle lunghe ali". Ma la comparazione era dovuta proprio a Vittorini, che già aveva pubblicato dei comics nel 'Politecnico', e aveva in quegli anni convinto Mondadori a ospitare in una collana di narratori stranieri le strisce del 'B.C.' di Hart.
Diceva Vittorini di Schulz: "Senza andare nel difficile, io lo avvicinerei a Salinger, però con un interesse molto più ampio e secondo me molto più profondo. Certamente. Salinger, resta, se vogliamo, poeta: però non riesce ad essere il poeta di una società, rimane un prodotto in fondo molto letterario. Salinger è un 'patetico' che evade nel mondo dell'infanzia la quale non è, per lui, rappresentativa del mondo degli adulti, della maturità come lo è per Schulz, dove l'infanzia è il 'signifiant', il veicolo di questo mondo completo che è l'uomo maturo, un po' come Johnny Hart (quello di 'B.C'.) che rappresenta il mondo moderno attraverso l'età della pietra".
UMBERTO ECO
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