Mi fate da cavia leggendo le prime pagine di una storia che sto scrivendo?
Fa parte di un romanzo collettivo: una trama molto complicata che non vi racconto perchè è davvero intricatissima.
Il mio testo sarà (più o meno) la cornice entro cui si incastonerà il resto della vicenda.
Eccolo qua.
Per l'esattezza, il mio nome completo sarebbe Harvey Philip Spector, ma voi chiamatemi pure con quello famoso: Phil Spector.
Qualcuno tra di voi dice che non mi conosce? I casi sono soltanto tre: o siete sordi o in questi ultimi cinquant’anni avete vissuto su un altro pianeta oppure più semplicemente non avete nessuna memoria per i nomi. Non siete ancora convinti? Vi dico due solo titoli di canzoni che senza di me non esisterebbero e poi la finiamo con questa stronzata di introduzione: The Long and Winding Road (nel 33 giri Let it be) e Imagine. Quando ascoltate il pezzo dei Beatles in quartetto e di John Lennon in solitaria, sappiate che ci sono io alla produzione, che il suono è farina del mio mulino, polvere bianca del mio sacchettino (se mi capite meglio così). E su The Long vi racconto una piccolezza su quella mezza checca di Paul McCartney: l’aveva scritta lui, prevedendo un arrangiamento moscio che faceva cagare. Al missaggio del disco, quando i Quattro Baronetti del cazzo s’erano arenati come Quattro balenotteri e non sapevano nemmeno dove voltarsi, io decisi come volevo io, aggiungendo violini e cori celestiali arrivati direttamente dal Paradiso. Quando ascoltò il risultato finale, Paul piagnucolò e si incazzò. Comunque, Let it be fu il disco beatlesiano di maggior successo. Qualcosa vorrà pur dire. Ma la mia piccola vera rivincita la ottenni anni dopo: nei suoi concerti, Paulino McCartyno non suonava mai The Long and Winding Road nella sua versione ma sempre nella mia. E Imagine? Quando lo stacco della batteria e l’incedere dei violini vi fanno venire nei boxer o nelle mutandine, ricordatevi sempre di Phil Spector. Vi bastano questi due esempi? E se no, voi che potete usare Internet, andate a farvi un giretto sul Web o su Youtube: troverete un sacco di canzoni mie.
Lo so che siete attenti. E infatti avete notato l’inciso di poco fa: “voi che potete usare Internet”. Perché io, stando qua, non posso nemmeno toccarlo Internet. Il computer sì, il Web no. Non è chiaro? Beh, lo immagino. Ne riparliamo dopo, così ve lo spiego. E vi racconterò altre cose: come sono finito in questo posto, il demonio (o il figlio dell’uomo?) che ho incontrato, la proposta che mi ha fatto e le voci della Mente In/visibile.
Ma intanto, abbiate la pazienza di seguirmi indietro nel tempo, tanti anni fa.
“Cosa voglio fare con A Christmas Gift For You? Semplicissimo: il più bel disco natalizio mai esistito e che mai esisterà. Prendere tredici grandi canzoni di Natale e trattarle con la stessa eccitazione di due adolescenti che per la prima volta si baciano e si toccano sul retro di un’auto al drive-in. Il tutto, senza perdere nulla dell’atmosfera natalizia”. Davanti al negozio e al taccuino del giornalista inglese del New Musical Express, ero nervoso, inutile nasconderlo. Intanto, quel londinese del cazzo alto un metro e novanta mi superava di quasi trenta centimetri. E poi mi rendeva frenetico la vetrina, colma di decine e decine di copertine del long playing uscito oggi: la foto coloratissima dei tre giganteschi pacchi natalizi con dietro Bob B. Soxx and the Blue Jeans, le Ronettes, le Crystals e soprattutto Darlene Love col vestito giallo e le braccia spalancata in un gesto così invitante. Non per nulla le avevo regalato la canzone migliore, Christmas (Baby please come home). Settimane di lavoro in sala d’incisione, musicisti sull’orlo (e forse oltre) della ribellione…col batterista Hal Blaine ero quasi venuto alle mani e il pianista Leon Russell avevo dovuto minacciarlo con la mazza da baseball…ma era venuta fuori una gemma che sarebbe durata nei secoli. Dal negozio uscì una ragazza con in mano il secondo disco di quel giovane Bob Dylan, Freewheelin’ qualcosa, roba musicalmente troppo scarna che aveva bisogno di venir rimpolpata da un suono come Dio comanda, batteria basso tastiere chitarre elettriche. Il giornalista inglese colse l’occasione per una domanda sulla politica americana: “Cosa ne pensa del presidente Kennedy?” “I suoi testi non sono male ma gli manca un produttore tosto” Di nuovo si aprì la porta: mamma e figlia con l’acquisto di un 45 di Elvis, poi si spalancò ancora per far entrare un uomo anziano. Tutte e due le volte il marciapiede fu percorso dalle canzoni di A Christmas Gift For You diffuse dagli altoparlanti del negozio. “Sono le 13.20” propose Malcom Flandry. “Andiamo a mangiare qualcosa?” Trovammo un tavolo alla Boos Brothers Cafeteria lì vicina. La radio era sintonizzata sulla ABC Network, l’orologio della parete segnava le 13.36 e io stavo dicendo che la carne dell’hamburger non sembrava…quando la voce di Don Gardner dall’altoparlante interruppe tutto, la mia frase, la forchetta del giornalista che gli portava tre pezzi di patate fritte alla bocca, la cameriera col vassoio con sopra quattro birre, la cassiera che dava il resto a un commesso viaggiatore, i clienti che mangiavano, una coppia che si baciava, una ragazza che si metteva il rossetto, gli Stati Uniti, il mondo intero: “Interrompiamo questo programma per trasmettervi un rapporto speciale della ABC Radio. C’è una notizia speciale da Dallas, Texas. Tre colpi d’arma da fuoco hanno colpito il corteo del Presidente Kennedy oggi in centro a Dallas, Texas. Questa è la ABC Radio”
Venerdì 22 novembre 1963, Charles Manson aveva ventinove anni e dieci giorni. Condannato per due stupri nel 1959, passava da un carcere all’altro e adesso era al McNeil Island nello stato di Washington. Il suo nuovo compagno di cella era polacco. Schifoso come tutti quelli col cognome in ski ma sempre meglio dividere l’aria con lui, Max Kaminski, che con quei negri del cazzo. O con qualche cubano. Almeno, Max stava ad ascoltarlo quando cantava i suoi pezzi, accompagnandosi col suono delle dita sui denti. Canzoni come Cease to Exist o People say I’m no good. O quel blues molto lungo che stava scrivendosi dentro la testa, The In/visible mind, la storia del tizio che si sveglia nel suo ufficio e non sa chi è, solo che si chiama Sam oppure Omar, e sgozza la moglie e poi entra in un mondo strano. E ogni volta che gliene faceva sentire un pezzetto il polacco gli diceva: “sei bravo. Appena esci di qua diventerai famoso. Ti ricorderai di me?” Sì, certo, come no. Sarebbe uscito di galera solo nel ’67. E intanto doveva progettare il proprio futuro: imparare a suonare la chitarra, pensare a come l’America ariana poteva liberarsi una volta per tutte della feccia nera, imparare a farsi amare e ubbidire dagli altri. E forse Kaminski era una buona cavia. Nacquero voci lungo le celle: “Gli hanno fatto saltare la testa…il presidente…” Rimbalzavano: “Hanno ammazzato…sparato…Kennedy…” Le labbra di Charles si stesero lentamente, soddisfatte: un amico dei negri di meno.
Letto velocemente ora e me lo gusterò con più calma domani.
Mi è successo che arrivata alla fine ho pensato: "Cavoli, ancora un pezzettino poteva mettere!!!" ... e mi pare un bel segnale!
Scritto da: Sabrina | 14/03/2010 a 22:00
A me succede ogni volta che una storia mi acchiappa.
A William Somerset Maugham (uno dei più grandi raccontatori di storie del Novecento) chiesero: "qual'è lo scopo di uno scrittore?".
Lui diede una risposta formidabile: "Costringere il lettore a voltar pagina".
Comunque, il mio primo capitolo finisce qua.
GRAZIE PER LA CONSULENZA
Scritto da: luciano / idefix | 14/03/2010 a 22:11
Viene la curiosità di andare oltre e di sapere cosa c'è dopo.
Mi piace la scrittura.
Spector è in galera, se non sbaglio.Gli manderai una copia del racconto?
Scritto da: Alessandra | 15/03/2010 a 00:55
Ale: non ci avevo pensato. Però bisognerebbe anche allegargli una traduzione. E, purtroppo, mai inglisc meik compescion.
Scritto da: luciano / idefix | 15/03/2010 a 08:50
Troppo contorto per i mie gusti. Buona fortuna comunque
Scritto da: Eeka | 15/03/2010 a 09:21
"Non siete ancora convinti?" lo sostituirei con "ancora niente?".
"Quando lo stacco della batteria e l’incedere dei violini vi fanno venire nei boxer o nelle mutandine, ricordatevi sempre di Phil Spector. Vi bastano questi due esempi?".
Mi suona meglio "ricordatevi del vecchio Phil. Vi bastano, come esempi?".
"Intanto, quel londinese del cazzo alto un metro e novanta mi superava di quasi trenta centimetri".
Non mettere troppi "cazzi" o "cazzo". E mi suona meglio "...di buoni trenta centimetri".
"Dal negozio uscì una ragazza con in mano il secondo disco di quel giovane Bob Dylan, Freewheelin’ qualcosa, roba musicalmente troppo scarna che aveva bisogno di venir rimpolpata da un suono come Dio comanda, batteria basso tastiere chitarre elettriche".
Io metterei "...di un certo Bob Dylan Freewheelin' qualcosa, una roba folkie, tutta ossa: niente polpa, niente pop".
Quanto a Manson, non ne farei un recluso da Arian Brotherhood, nel 1963: è vero che diceva un sacco di cose brutte sui negri quando diventò Charles Manson il boss della Family, tipo che i negri avrebbero brigato per conquistare il potere negli Stati Uniti d'America, cose così...
Ma non so prima.
Manson era essenzialmente un piccolo delinquente con notevoli capacità di manipolare il suo prossimo.
CEASE TO EXIST e PEOPLE SAY I'M NO GOOD, poi, non so se esistevano già nel 1963. Magari mi sbaglio, ma tu verifica.
Nel '63, in ogni caso, esistevano già i Beach Boys, che Manson frequentò parecchio (soprattutto il povero Dennis Wilson).
Il testo mi sembra molto buono. L'idea di fondo è notevole.
Stilisticamente parlando, io ci lavorerei ancora un po', sulla voce di Spector. Renderei il racconto un po'(solo un pelino) più discorsivo.
Così com'è a volte sembra più un testo scritto per il MUCCHIO (tra l'altro esiste, e te ne farò la fotocopia, un testo a firma Antonio Tettamanti che uscì sul Mucchio, a puntate, negli anni Ottanta, e che parlava proprio di Charles Manson e dei disastri che combinò. Lo sapevi?) che un testo narrativo.
Un abbraccio, Lucià.
tic
Scritto da: Tic-talkischeap | 15/03/2010 a 10:30
Un enorme grazie, Tic. Appena posso faccio le correzioni: ascolto sempre i produttori.
Scritto da: luciano / idefix | 15/03/2010 a 10:42
Su Manson:
dato che il mio spazio è relativamente poco (una trentina di pagine in tutto) sono costretto a concentrare temi che (lo so) andrebbero distribuiti cronologicamente con più avvedutezza. Per questo già nel '63 rendo Charles consapevolmente razzista e autore di canzoni. In un vero e proprio romanzo, farei entrare tutto ciò più avanti e (nei primi Sessanta) introdurrei solo qualche avvisaglia.
Per quanto invece riguarda il linguaggio di Spector, i tuoi suggerimenti li accolgo come pepite.
Scritto da: luciano / idefix | 15/03/2010 a 10:47
caro luciano, mi stavo chiedendendo proprio quando avresti pubblicato qualcos'altro (io sono rimasto ai libri per bambini che ancora però devo ordinare)...
premesso che l' ho letto andando velocemente...
1 lo stile scorre molto bene
2 i vocaboli che hai usato mi sembrano sufficientemente semplici e senza ripetizioni (e credo che tu volessi ragiungere propio questo stile)
3 la vicenda è intrigante
4 per quanto mi riguarda non conosco molti dei nomi che hai citato (perchè ho grosse lacune in particolare per quel periodo lì) e penso che avendoli conosciuti me lo sarei goduto anche di più
ultimamente ho sistemato alcuni dei racconti che ho scritto (le cui bozze piene zeppe di errori sono sul mio blog) e sto provando a pubblicarli. chissà che tu non mi possa prima o poi ricambiare il favore, stroncandomi la carriera ;-) (ovviamente senza impegno alcuno!)
facci sapere!
Scritto da: Giordano | 15/03/2010 a 16:09
Luciano, se Tic non può occuparsi della traduzione (mi pare di capire che insegni inglese,o mi sbaglio?), potrei cercare di farla io. Se ti va, ovviamente.
Scritto da: Alessandra | 15/03/2010 a 16:29
Lucià, scusami. Ho dato per scontato che avresti chiesto la traduzione a Tic. E chiedo scusa pure a lui. :-(
Insomma, non volevo impicciarmi degli affari vostri. I'm terribly sorry.
Scritto da: Alessandra | 15/03/2010 a 16:31
Così Spector ci odierebbe.
Comunque accolgo la tua offerta senza ipocrisie ma a braccia spalancate e con un GRAZIE A BUON RENDERE.
Scritto da: luciano / idefix | 15/03/2010 a 16:32
mi permetti? un po' artificioso l'incipit
Scritto da: paola dei gatti | 15/03/2010 a 16:38
Altroche: permetto tutto. Nei nostri giudizi, noi lettori siamo sovrani.
Scritto da: luciano / idefix | 15/03/2010 a 16:43
anche a me, come eeka, parese un po' troppo...
da questa introduzione non capirei niente della storia che verrà sviluppata, e questo mi darebbe un po' fastidio, perchè comunque abbandonerei la lettura e riporrei il libro sullo scaffale.
paulino mccarthyno... no, please.
c'è da dire che ho inteso che la storia sia del genere che non mi interessa, e per tua fortuna i miei gusti sono i miei e non quelli di tutti gli altri.
comunque in bocca al lupo!!
Scritto da: marcob | 15/03/2010 a 18:52
Marcob: il diminutivo appioppato a Paul McCartney non suonava tanto bene nemmeno a me. Perciò alla prima critica che arriva (la tua), lo tolgo.
Se poi non si capisce dove la storia andrà a parare e a uno/a ciò non piace, padronissimi di non andare avanti a leggere.
Però a me va benissimo che non si intuisca cosa accadrà nelle prossime pagine: è esattamente quello che volevo.
Scritto da: luciano / idefix | 15/03/2010 a 21:28
Dici di "rendere" manson "razzista" e "autore di canzoni" già dal '63.
Sul razzismo non so (ma non è improbabile), quanto alle canzoni è accertato che già nel 63 (resoconto annuale del penitenziario) "si applicava in modo frenetico alla chitarra" e che (da resoconto del 64) nell'anno successivo aggiunse un interesse maniacale per i Beatles (che a gennaio erano sorprendentemente balzati in testa alle classifiche USA con "I want to hold your hand") a quelli (in via di raffreddamento) per il buddismo e per Scientology. Manson frequentò Dennis Wilson dei Beach Boys (che erano divenuti il contraltare USA dei Beatles)solo dopo la sua liberazione del 67. Fu tramite Wilson che entrò in contatto con il produttore Terry Melcher (il figlio di Doris Day), che però non si mostrò interessato a fargli registrare un suo disco (vera grande aspirazione di Manson). Probabilmente Melcher (che aveva abitato la villa di Polanski fino a poco prima) era il vero obiettivo della strage di Bel Air.
Nulla di strano quindi che nel 63 potesse scrivere già canzoni, anche se forse non ancora quelle citate. Ma accompagnandosi già alla chitarra, e non coi denti.
Sul Maccartino mi associo a Marcob: nun se pò vedè!
Sul resto a me sì che mi intriga, e mica poco!
Scritto da: carloesse | 15/03/2010 a 22:20
Grazie anche a carloesse: il diminutivo di Maccartino è stato cassato.
Sul Manson, sono più o meno le riflessioni che avevo fatto io.
Scritto da: luciano / idefix | 16/03/2010 a 08:47
mi piace
lo devo ancora stampare per leggerlo meglio
mi ricorda un po' jack folla, sia nella situazione che nella costruzione del periodo. A presto, dopo la rilettura
Scritto da: gy | 16/03/2010 a 14:10
Delle storie con Folla, dovrei avere il primo volumetto Oscar. Ma più che altro ne avevo ascoltate varie alla radio.
Non ci avevo minimamente pensato, a quel modello.
L'idea m'era venuta per "usare" la mia passione verso l'arte (anche se non la persona, che tutto sommpato è un dis/graziato) di Phil Spector.
Scritto da: luciano / idefix | 16/03/2010 a 16:18
Bello!
Ho dovuto meditarci un po' sopra, per fare l'orecchio al ritmo e al lessico un po' "fast food"...anche perchè io certamente avrei usato uno stile meno americano, o meno Global, se preferisci.
E soprattutto infarcito da tanti "che". :-)
Scritto da: ilva | 17/03/2010 a 22:08
Nel frattempo ho ridotto i "che" (una parola da evitare il più possibile. Anzi: una parola che va evitata il più che si può).
Scritto da: luciano / idefix | 17/03/2010 a 22:47
Luciano, mi riferivo ai MIEI "che", non ai TUOI.
E' un difetto che mi hai fatto notare tu e di cui ti ringrazio...anche se non scrivo più da mesi.
Dici che dovrei intonare qualche invocazione alle Muse?
Scritto da: ilva | 17/03/2010 a 22:56
Luciano, adesso sono seria davvero, anzi sono triste: ricordi che anniversario ricorre domani?
Scritto da: ilva | 17/03/2010 a 22:59
Aspetta che ci penso: oggi è il 18...ogggesù santo.
http://lucianoidefix.typepad.com/nuovo_ringhio_di_idefix_l/2009/03/in-morte-di-f.html
e poi
http://lucianoidefix.typepad.com/nuovo_ringhio_di_idefix_l/2009/03/tornando-da-un-funerale.html
(E l'idea del racconto un po' picaresco e tragicomico sull'amicizia tra me e F., intitolato IL PANINO DELLA BESTIA, non l'ho abbandonata)
Scritto da: luciano / idefix | 18/03/2010 a 12:23
ci tornerò ancora. Prende e incuriosisce, scorre bene. Segnalo solo: invece di interruppe, bloccò o fermò tutto(che dà meglio l'idea dell'arrestarsi della forchetta del giornalista ecc; se no una forchetta interrotta non va bene
ma me lo rileggo
grazie, marina
Scritto da: marina | 18/03/2010 a 16:35
Grazie, Marina: suggerimento ascoltato e approvato.
Il testo che vi ho proposto era la prima stesura, (scritta quasi di getto, sottoposta a una rapidissima revisione e poi buttato in pasto a voi).
Mentre i tempi per me sensati prevedono:
- scrittura di getto,
- rilettura e prima grezza e parzialissima correzione il giorno dopo,
- continuazione della scrittura di getto,
- il giorno seguente rilettura e nuova grezza correzione,
- così avanti,
- fino alla fine del libro.
Che a quel punto se ne sta a decantare per una quindicina di giorni/ un mesetto, in modo da dimenticarlo il più possibile.
Così che, quando lo riprendo in mano, è COME SE NON lo avessi scritto io bensì qualcun altro. E dunque posso criticarlo e correggerlo a fondo.
A quel punto, quando sono abbastanza soddisfatto, lo passo a delle "cavie".
Alla luce delle loro ulteriori critiche e commenti, lo sottopongo a una nuova revisione: quella definitiva.
Scritto da: luciano / idefix | 18/03/2010 a 16:53