Ogni giorno bisogna ascoltare orridi insulti alla lingua italiana: spaventosi neologismi come (ne segnalo solo due) "implementare" che nella pubblica amministrazione imperversa come sinonimo di "aumentare" (ieri l'ha usato anche Berlusconi), "ok" oppure "o kappa" invece di "va bene, giusto, sì, d'accordo".
Ma oggi mi dedico all'abusatissimo "piuttosto che" usato, in modo del tutto sbagliato, come sinonimo di "o".
Vi trascrivo qui di seguito un lungo e interessante articolo sulla triste e ridicola vicenda del "piuttosto che". Autrice, una collaboratrice dell'Accademia della Crusca.
Il fenomeno segnalato, cioè l’impiego ormai dilagante di piuttosto che nel senso di o, non è affatto sfuggito, naturalmente, all’attenzione degli storici della lingua (per parte mia, tanto per fare un esempio, ne avevo già discusso in un seminario del circolo linguistico della Facoltà di Lettere di Padova un paio di anni fa; e l’argomento è stato da me riproposto, in seguito, nell’àmbito dei lavori del Centro linguistico per l’italiano contemporaneo [CLIC]). Si tratta, come ha correttamente individuato la nostra lettrice, di una voga d’origine settentrionale, sbocciata in un linguaggio certo non popolare e probabilmente venato di snobismo (in tal senso è azzeccata l’allusione nel quesito a un uso invalso «tra le classi agiate del Settentrione»). Era fatale che tra i primi a intercettare golosamente l’infelice novità lessicale fossero i conduttori e i giornalisti televisivi, che insieme ai pubblicitari costituiscono le categorie che da qualche decennio - stante l’estrema pervasività e l’infinito potere di suggestione (non solo, si badi, sulle classi culturalmente più deboli) del "medium" per antonomasia - governano l’evolversi dell’italiano di consumo.
Non c’è giorno che dall’audio della televisione non ci arrivino attestazioni del piuttosto che alla moda, spesso ammannito in serie a raffica: «... piuttosto che ... piuttosto che ... piuttosto che ...», oppure «... piuttosto che ... o ... o ... », e via con le altre combinazioni possibili. Dalla ribalta televisiva il nuovo modulo ha fatto presto a scendere sulle pagine dei giornali: ormai non c’è lettura di quotidiano o di rivista in cui non si abbia occasione d’incontrarlo. E purtroppo la discutibile voga ha cominciato a infiltrarsi anche in usi e scritture a priori insospettabili (d’altra parte, se ha prontamente contagiato gli studenti universitari, come pensare che i docenti, in particolare i meno anziani, ne restino indenni?).
Gli esempi raccolti nel parlato e nello scritto sono ormai innumerevoli e le schede dei sempre più scoraggiati raccoglitori (è il caso della sottoscritta) si ammucchiano inesorabilmente. Eppure non c’è bisogno di essere dei linguisti per rendersi conto dell’inammissibilità nell’uso dell’italiano d’un piuttosto che in sostituzione della disgiuntiva o. Intendiamoci: se quest’ennesima novità lessicale è da respingere fermamente non è soltanto perché essa è in contrasto con la tradizione grammaticale della nostra lingua e con la storia stessa del sintagma (a partire dalle premesse etimologiche); la ragione più seria sta nel fatto che un piuttosto che abusivamente equiparato a o può creare ambiguità sostanziali nella comunicazione, può insomma compromettere la funzione fondamentale del linguaggio.
Mi limiterò qui a un paio d’esempi fra i tanti che potrei citare: dal settimanale L’Espresso, del 25.5.2001, incipit dell’articolo a p. 35 intit. Il cretino locale (sulla fuga dei cervelli dal nostro Paese): «È stupefacente riscontrare quanti italiani trentenni e quarantenni popolino le grandi università americane, piuttosto che gli istituti di ricerca e le industrie ad avanzata tecnologia nella Silicon Valley»; naturalmente questo piuttosto che pretende di surrogare la semplice disgiuntiva, ma il lettore non edotto è portato a chiedersi come mai i giovani studiosi italiani sbarcati negli Stati Uniti snobbino per l’appunto i prestigiosi centri di ricerca della Silicon Valley. E ancora: «... di questo passo, saranno gli omosessuali piuttosto che i poveri piuttosto che i neri piuttosto che gli zingari ad essere perseguitati»: frase pronunciata dal noto (e benemerito) dott. Gino Strada nel corso del Tg3 del 22.1.2002; in questo caso, la prospettiva d’una persecuzione concentrata protervamente sulla prima categoria avrà reso perplesso più di un ascoltatore...
Immaginiamoci poi che cosa potrà accadere con l’insediarsi dell’anomalo piuttosto che anche nei vari linguaggi scientifici e settoriali in genere, per i quali congruenza e univocità di lessico sono indispensabili.
Per quanto mi riguarda, non sono in grado di localizzare con sicurezza nello spazio e nel tempo l’insorgere della voga in questione. Mi risulta soltanto, sulla base di una testimonianza sicura, che tra i giovani del ceto medio-alto torinese il piuttosto che nel senso di o si registrava già nei primi anni Ottanta. È un fatto che questa formula è generalmente ritenuta di provenienza settentrionale (il che già contribuisce, presso molti, a darle un’aura di prestigio): «Un vezzo di origine lombarda, ma ormai molto diffuso, è quello di usare la parola "piuttosto" [...] nel senso di "oppure"», osservava criticamente un paio d’anni fa, sulla rivista L’esperanto, anno 31, n° 3, 5 aprile 2000, il direttore Umberto Broccatelli (scrivendo però "piuttosto" in luogo di "piuttosto che"). Il lancio vero e proprio del nuovo malvezzo lessicale, avvenuto senza dubbio attraverso radiofonia e televisione (e inizialmente - è da presumere - ad opera di conduttori settentrionali), sembra potersi datare dalla metà degli anni Novanta. Resta da capire la meccanica del processo che ha portato un modulo dal senso perfettamente chiaro, e rimasto saldo per tanti secoli, come piuttosto che a virare - all’interno di un certo uso dapprima circoscritto e verosimilmente snobistico - fino al significato della comune disgiuntiva.
Per azzardare una ricostruzione di quel processo proviamo a partire da una frase del genere: «Andremo a Vienna in treno o in aereo». In questo caso le due alternative semplicemente si bilanciano. Se variamo la frase rafforzando il semplice o con l’aggiunta dell’avverbio piuttosto: «Andremo a Vienna in treno o piuttosto in aereo», chi ci ascolta può cogliere una tendenziale inclinazione per la seconda delle due soluzioni, quella dell’aereo. Sostituiamo a questo punto o piuttosto con piuttosto che: «Andremo a Vienna in treno piuttosto che in aereo»; qui risalta abbastanza nettamente - sempre attraverso la comparazione tra due opzioni - una preferenza per la prima rispetto alla seconda. Dall’analisi delle varianti contestualizzate nelle tre frasi, mi sembra si delinei una possibile spiegazione del piuttosto che semanticamente ‘deviato’ di cui ci stiamo occupando (e preoccupando): in sostanza, può essere il prodotto di una locale, progressiva banalizzazione portata fino alle estreme conseguenze, cioè fino al totale azzeramento della marca di preferenza che storicamente gli compete (e che nell’italiano corretto continuerà a competergli). Basterà avere un po’ di pazienza: anche la voga di quest’imbarazzante piuttosto che finirà prima o poi col tramontare, come accade fatalmente con la suppellettile di riuso. Segnalo intanto la significativa "variatio" che mi è capitato di cogliere al volo qualche giorno fa (precisamente, il 17 aprile 2002), nel corso di una trasmissione televisiva che si occupa di alimenti e di buona cucina: un’esperta di gastronomia, chiamata a giudicare tra piatti a base di pesce allestiti in gara da due cuochi, nel sottolineare quanto sia importante anche l’effetto estetico nella presentazione d’una vivanda ha fatto osservare come nei molluschi dalle valve variopinte utilizzati in una delle portate ci fosse «più colore rispetto a una triglia anziché a una sarda» (triglia e sarde essendo i pesci usati nella preparazione di altre due portate).
Ornella Castellani Pollidori
"implementare" che nella pubblica amministrazione imperversa come sinonimo di 'aumentare'"
Eh??? Semmai sinonimo di "realizzare", sicuramente comunque orrendo.
"Piuttosto che" è veramente pessimo, sarà diffuso al settentrione e in Lombardia, ma la questione dello snobismo proprio non la capisco.
Scritto da: offender | 17/11/2009 a 10:07
Implementare al paese mio - intendasi paese della ricerca psicologica e sociologica vuol dire applicare o sviluppare in diverse potenzialità. Si implementa un test per la diagnosi dei deficit neurologici per esempio, somministrandolo a un campione pilota.
Detto questo, faccio auting
io ho una perversione da "piuttosto che" semo amici lo stesso?
PPPPP
Scritto da: zauberei | 17/11/2009 a 10:17
Implementare viene evidentemente dall'inglese "to implement", che è sinonimo di "accomplish" e "carry out", quindi di "compiere", "realizzare". Al "paese mio" per usare questa bella (non sono ironico) forma centro-sudista, "implementare" è utilizzato in riferimento alla realizzazione di software e sistemi informativi.
La zaub fa outing: anche lei una snob settentrionale? ;-)
Scritto da: offender | 17/11/2009 a 10:24
Uno dei MIEI filosofi (Karl Popper) scriveva: "la chiarezza è un obbligo morale".
Se io a mio papà o a mia mamma dico "oggi ho implementato le schede sull'assistenza agli anziani", mi domandano "cos'hai fatto?!!?"
Scritto da: luciano / idefix | 17/11/2009 a 10:48
Luciano se tu a tuo papà o tua mamma "ho implementato" probabilmente non capirebbero, ma questo vale anche per alcuni termini italianissimi e correttissimi, ma desueti o ricercati che a certe persone piace molto utilizzare.
Leggo ora che te la prendi anche con "ok": mi sembra un po' eccessivo :-)
Scritto da: offender | 17/11/2009 a 10:57
Voglio dire, se ok non va bene allora torniamo a giocare a pallacorda :-)
Scritto da: offender | 17/11/2009 a 10:58
Ma infatti è una parola da gergo professionale, mi sembra normale declinare la lingua a seconda dei contesti PIUTTOSTO CHE applicarla tutta uguaglia. Chiaro che alla mia mamma non posso dire ho implementato, ma al mio prof glielo devo dire, perchè ha delle implicazioni che altre parole non hanno.
Vòi i sali?
PPPP
e
PPP pure a offender
Scritto da: zauberei | 17/11/2009 a 11:11
"Ok" non credo di averlo mai detto in vita mia.
Un conto è usare parole straniere davvero "utili" ma questi amerikanismi d'accatto li detesto con ogni mia forza: al posto di "ok" in italiano posso scegliere tra "va bene, certo, senz'altro, sì, d'accordo, condivido, giusto, bene, sono con te, concordo, approvo, ottimo, certamente, certo, perfetto, direi di sì" e tanti altri.
Perchè farsi colonizzare dagli aspetti più poveri dello ienkismo televisivo? Perchè parlare come i gommamericanati?
Scritto da: luciano / idefix | 17/11/2009 a 11:16
Luciano caro, io che mi immergo nello slang italiota a singhiozzo, solo quando sono in visita, ti devo dire che ogni volta e' un po' una fatica recuperare le fila dei discorsi, con neologismi che non solo si usano a profusione, ma si usano col sopracciglio alzato come per dire, ma che non ce lo sai, ma quanto sei arretrata. Ogni volta che torno ce ne sta uno nuovo. Il mio preferito per molto tempo e' stato sdoganare, in uno dei miei rientri in Patria all'improvviso sdoganavano tutti, da morir dalle risate!
Scritto da: supermambanana | 17/11/2009 a 11:18
Oddio ho detto slang! Chiedo venia! :-P
Scritto da: supermambanana | 17/11/2009 a 11:21
Invece di "slang", io cerco di usare "gergo".
Scritto da: luciano / idefix | 17/11/2009 a 11:37
e implosione? che veniva usata per la maggioranza dell'ultimo centrosinistra. in realtà implosione in fisica rappresenta il fenomeno esattamente contrario a quello si voleva attribuire in politica: rottura per una pressione dall'esterno verso l'interno.
mentre la maggioranza di csx era in crisi per forze che non stavano bene assieme e che dall'interno spingevano verso l'esterno, e che descrivono un fenomeno denominato esplosione.
Scritto da: marcob | 17/11/2009 a 11:38
Un conto è arricchire la lingua italiana con multiformi apporti che aumentano la sua espressività e le sue potenzialità. Tutt'altra faccenda è impoverirla mediante miserrimi orribili sbagliati surrogati o metafore. Qualche esempio: ok, tvb, piuttosto che, implementare, problematica, tematica, la mission, brochure, brunch, slides, icona.
Ma domani o dopodomani ne faccio un post. Che spero faccia ridere.
Scritto da: luciano / idefix | 17/11/2009 a 11:48
oh, posso avere una dispensa speciale? Che dopo 13 anni ormai mi intrippo anche sui nomi dei beni di prima necessita'.
(ma mica sei uno di quelli dell'ordinatore e del topo?)
Scritto da: supermambanana | 17/11/2009 a 11:54
mi intrippo!!! :-)
Scritto da: offender | 17/11/2009 a 12:16
L'ordinatore e il topo?!!?
Non ho capito.
Scritto da: luciano / idefix | 17/11/2009 a 12:19
:-D L'ordinateur o l'ordenador per il computer e il souris o il raton per il mouse, parlare con i colleghi francesi e spagnoli mi mette sempre di buon umore.
Scritto da: supermambanana | 17/11/2009 a 12:50
Adesso ho capito.
No, certo che no: dico anch'io "mouse" e "computer", non "topolino da scrivania informatica" e "cervello elettronico di undicesima generazione".
Scritto da: luciano / idefix | 17/11/2009 a 12:58
però, el ratòn.
Scritto da: marcob | 17/11/2009 a 13:23
Se prima infiorettare i discorsi con i vari "implementare" e "piuttosto che", si ritornasse ad un uso corretto dei nostri benamati congiuntivi?
Per i giornalisti televisivi, viste le condizioni deplorevoli in cui la maggior parte versa dal punto di vista linguistico, sarebbe già un importante passo in avanti.
Scritto da: ilva | 17/11/2009 a 13:48
Il mio personaggio tredicenne Michele Crismani lo chiama il congiunzionale" (per lui l'incestuosa e vaghissima unione di congiuntivo e condizionale). Però sono d'accordo con te, Ilva: in televisione si sentono delle cose atroci. E l'ignoranza galoppa sempre più incontrollata.
Per dirne due: i media che diventano midia, bipartisan (già bruttissimo di per se) che si tramuta in baipartisan.
Scritto da: luciano / idefix | 17/11/2009 a 13:54
Scommetto che Michele Crismani dice di nascosto ok e tvb quando tu non lo stai ascoltando :-)
Scritto da: offender | 17/11/2009 a 14:09
Lui ha tredici anni e parla come uno della sua età.
Pure i suoi gusti (musicali, cinematografici, televisivi, calcistici, fumettari e libreschi...per quel poco che legge...eccetera) hanno poco o nulla a che fare con i miei.
Anzi: a me, mi detesta proprio, mi considera un cretino e un mascalzone. Uno che sfrutta la sua vita e le sue avventure per firmare a nome mio i libri che in realtà scrive lui.
Scritto da: luciano / idefix | 17/11/2009 a 14:20
Concordo pienamente con Luciano e la Castellani.
L'uso smodato e scorretto del "piuttosto che" mi ha sempre irritata. Gli esempi citati dalla stessa Castellani parlano da soli.
Sulla questione del verbo implementare: è letteralmente preso dall'inglese (to implement, appunto) e non è affatto sinonimo di "to carry out" o "to accomplish": to implement vuol dire mettere in moto un sistema o un progetto; to carry out vuol dire fare o completare qualcosa, come ad esempio una ricerca. To accomplish vuol dire raggiungere un obiettivo con successo. Ci sono molte sfumature di significato ed uso tra i tre verbi, ma non vengono usati come sinonimo uno dell'altro. To accomplish è effettivamente usato prevalentemente in informatica, soprattutto in riferimento ai programmi e al funzionamento di questi, quindi questo è un caso di uso corretto della traduzione letterale del verbo. In molti altri ambiti il verbo è stato adottato, ma con significato diverso, quindi facendone di conseguenza un uso scorretto.
Scritto da: Alessandra | 17/11/2009 a 15:05
http://www.merriam-webster.com/dictionary/implement
Scritto da: offender | 17/11/2009 a 15:20
Inoltre: in riferimento allo sviluppo di programmi informatici il verbo accomplish non si usa praticamente mai, e dopo 15 anni da consulente informatico penso di poterlo dire con cognizione di causa (P.S.: anche i miei colleghi confermano) :-)
Scritto da: offender | 17/11/2009 a 15:22
Offender, rileggi bene quanto ho scritto. ho detto che to implement si usa prevalentemente in informatica e il verbo, usato scorrettamente in altri ambiti in italiano, viene proprio da lì.
Seconda cosa che tengo molto a precisare: sono traduttrice da un bel po' di anni e ho un master in web project management.
Vogliamo parlare di lingua inglese? Bene, sono a tua disposizione.
Come web manager sono meno aggiornata, ma ho lavorato come consulente fino a due anni fa.
Scritto da: Alessandra | 17/11/2009 a 15:29
Aggiungo una cosa:
le mie definizioni dei verbi inglesi sono prese dal dizionario della Cambrigde University Press.
Scritto da: Alessandra | 17/11/2009 a 15:31
e che dire dell'uso improprio dell'avverbio "assolutamente"?
Pare che la colpa sia di una edizione del grande fratello dove un concorrente rispondeva ad ogni domanda con "assolutamente" Se fosse un assolutamente si o un assolutamente no non ci è dato di sapere.
Per quel che riguarda l'uso delle parole inglesi, trovo esilarante chi vuol conoscere la tua location non senza essersi informato prima di come te la passi nella tua home condition.
Scritto da: lalla | 17/11/2009 a 15:34
Ho riletto, hai scritto:
" To accomplish è effettivamente usato prevalentemente in informatica, soprattutto in riferimento ai programmi e al funzionamento di questi,"
Forse volevi dire implement? Se è così scusami.
Per quanto riguarda la lingua inglese sono a tua disposizione anche io, oltre al Merriam-Webster che ti ho già linkato accomplish e carry out sono citati come sinonimi di implement anche da thefreedictionary.com, dictionary.com, synonyms.net, thesaurus e una serie di altre risorse che non ti cito perché sono parecchie. Poi magari sbagliano tutti, non so che dirti.
Scritto da: offender | 17/11/2009 a 15:44
Si, volevo dire to implement. Scusa. Mi si sono intrecciate le dita sulla tastiera :-D
Mi hai citato tutti dizionari online. Io uso ancora quelli cartacei con relativo cd. quelli da traduttore, per intenderci. Con ciò non voglio dire che quelli online non siano attendibili, ma meno accurati si, purtroppo. Lo dico per esperienza e con cognizione di causa, ovviamente.
Scritto da: Alessandra | 17/11/2009 a 15:50
Alessandra, this is really clutching at straws ;-)
Scritto da: offender | 17/11/2009 a 15:52
P.S.: Anche la versione cartacea del Merriam-Webster riporta gli stessi sinonimi.
Scritto da: offender | 17/11/2009 a 15:56
Comunque ragazzi, voi non avete idea di cosa significhi lavorare nel mio settore! Un paio di mail dalla mia collezione:
"Stefano, ciao.
Il cliente esporta criticità a inviare i requirements per oggi. Mi dai
una deadline esportabile?"
oppure
"Ste, non avevamo inteso che fosse mandatorio deliverare entro fine mese"
Scritto da: offender | 17/11/2009 a 16:19
offender, mi sono ammazzata dalle risate!
Alessandra, con l'unica competenza di lavorare da 13 anni in inghilterra in un dipartimento di computer science: 'implement' lo usano certo in informatica, ma anche per un 'metter in pratica' delle linee guida vaghe in una sequenza di azioni specifiche (implementare un piano d'azione, i principi di un accordo, una raccomandazione, una riforma, un manifesto, etc). Accomplish, si, ha un'accezione di 'successo' nell'intrapresa. Carry out e' come dire 'portare avanti' (un'inchiesta, una transazione) e in questo senso e' un sinonimo di implement.
Scritto da: supermambanana | 17/11/2009 a 16:46
Mamma mia, Offender! Non ti invidio! Mandatorio, deliverare, esportare criticità... C'è da farsi venire un ulcera!
Scusami se mi "attacco alla pagliuzza", ma sai com'è... deformazione professionale ;-)
Scritto da: Alessandra | 17/11/2009 a 16:47
Ma il problema è un altro.
Il problema è quanto si può comandare giudicare il destino di una lingua? Il destino di una lingua è correlato al destino storico di chi la parla. E' un fatto che se piove n'america aprimo l'ombrello, è un fatto che l'innovazione in molti campi della ricerca parte dal mondo anglofono. Ancora ancora capisco la faccenda del mitico piuttosto che, ma se lo scanner non lo abbiamo inventato noi, se dovemo attaccà allo scannerizzare. E se poi scannerizzare rivela al parlante una familiarità metaforica per esempio quando si osserva qualcuno come è vestito dalla testa ai piedi... che fai je meni?
Scritto da: zauberei | 17/11/2009 a 16:48
supermambanana, una volta scrissi a un collega: "carlo, occhio al parametro x che è obbligatorio"
Risposta:
"Intendi mandatorio?"
Scritto da: offender | 17/11/2009 a 16:49
Zau, hai ragione, ma mi chiedo: se il mouse in spagnolo si chiama ratòn, perché non si può dire in italiano "passare allo scanner", piuttosto che scannerizzare? (Involontariamente ho fatto un esempio di come si dovrebbe usare "piuttosto che"). :-)
Scritto da: Alessandra | 17/11/2009 a 16:51
alessandra, la tua traduzione letterale dà alla locuzione "clutching at straws" un significato un po' diverso ;-)
Scritto da: offender | 17/11/2009 a 16:52
zaub, sono d'accordo con te: del resto semo entrambi settentrionali ;-)
Scritto da: offender | 17/11/2009 a 16:52
Offender, infatti l'ho messo tra virgolette. ;-)
Scritto da: Alessandra | 17/11/2009 a 16:53
sì, ma così tradotto portava acqua to your mill ;-)
Scritto da: offender | 17/11/2009 a 16:54
Embè, Offender, e che so scema? Porto l'acqua al mio mulino, mica al tuo! Mi pare ovvio... :-D
Supermambanana, certamente to implement vuol dire anche tutto quello che hai scritto tu. Io mi sono volutamente limitata perché, mentre scrivo qui sul blog, cerco anche di lavorare un po', quindi devo "accorciare" un po' i concetti. Questione di tempo che vola...
Scritto da: Alessandra | 17/11/2009 a 17:01
Ahhhh 'sti maniaci del lavoro!
Scritto da: offender | 17/11/2009 a 17:13
Anche per me non è okay la colonizzazione linguistica, e non mi sembra trendy risolverla con un semplice no problem, o baipassare la cosa in modo così easy o speedy, supportati da input che non possono che creare misunderstanding, o addirittura una sorta di way of life linguistica, attraverso meeting o happening online, per meglio intenderci, simili a vani question time parlamentari. Ah, per concludere, spero di incontrare il PD al No-B-Day piuttosto che al family day.
Tilt. Game over.
Scritto da: Subhaga Gaetano Failla | 17/11/2009 a 17:22
Subhaga: mi hai appena ricordato un ex collega che una volta mi chiese "come si dice in inglese baipassare?"
Scritto da: offender | 17/11/2009 a 17:28
Gaetano, sei grande!
;-)
Stefano Offender, mi sei simpatico. Posso dirlo, o ti offendi?
Scritto da: Alessandra | 17/11/2009 a 17:33
@ Offender and Alessandra: denchiù (pronuncia biscardiana).
Love xxx
Scritto da: Subhaga Gaetano Failla | 17/11/2009 a 17:42
Subhaga: di che mi ringrazi? Guarda che io non ti ho fatto nessun complimento, e per quanto riguarda gli xxx mi spiace ma dai maschi non mi faccio baciare :-)
Alessandra: la simpatia, insieme alla modestia, è tra le più evidenti delle mie molteplici doti :-)
Scritto da: offender | 17/11/2009 a 17:47
alessandra ce lo so che ce lo sai, quello che volevo dire e' che l'uso prevalentemente 'informatico' di implementare e' anch'esso del tutto italiano, visto che la parola e' entrata in italiano con l'informatica e poi e' restata con le altre sfumature, invece a me pare che qui sia proprio l'accezione informatica ad essere solo per gli addetti ai lavori, nel normale parlato si usa nel senso che dicevo prima in massima parte.
Che poi, e' latinorum in fondo e quindi gli inglesi lo usano solo se vogliono sfoggiare :-)
Scritto da: supermambanana | 17/11/2009 a 17:50
offender, mi ci troverei alla grande fra gli amici tuoi, che st'italinglisc e' normale a casa mia, ma piu' perche' le due lingue s'intorcinano in testa che altro. Che ora per la verita', che stanno i bimbi, stiamo cercando di fare le personcine a modo e parlare pulito, persino rispolverando un congiuntivo passabile.
E a proposito, Luciano, ho ordinato uno dei tuoi Crismani per i ragazzi, quello su Bitritto, che visto che noi siamo di Bari mi pare appropriato :-)
Scritto da: supermambanana | 17/11/2009 a 17:59
@ Offender
Gasp e pure gulp! Ritiro dunque per te generici denchiù e triplici ics.
Smail e gudnait
Scritto da: Subhaga Gaetano Failla | 17/11/2009 a 18:04
Supermambanana, eh si, gli inglesi si danno le arie spesso e volentieri col latinorum! :-)
A dire il vero, io il verbo to implement, quando parlo con i miei amici inglesi e amricani lo uso con i significati che hai ben spiegato tu prima. L'informatica si è appropriata del termine con un'unica accezione, almeno qui in Italia.
A proposito di italinglish, mi hai fatto ridere perché la stessa cosa succede anche a casa mia quando mia sorella torna dagli Stati Uniti, o quando qualche mio amico viene a trovarmi. Si ride parecchio, credimi. Vengono fuori degli incroci di parole che ad inventarli apposta non si riuscirebbe! ;-)
Scritto da: Alessandra | 17/11/2009 a 18:40
Ne è venuta fuori una chiacchierata divertente assai.
Sinceramente: io non so bene cosa voglia dire "to implement" in inglese e in linguaggio informatico. So però che, trasportata in italiano, la parola "implementare" fa cagare (che non è un inglesismo).
Gaetano. lo sospettavo, che tu fossi pugliese. E spero che il mio romanzetto vi diverta. Grazie per la fiducia.
Scritto da: luciano / idefix | 17/11/2009 a 19:14
miihiii!!
ma io invece all'autarchia linguistica non ci credo.
E l'italiano mi piace considerevolmente, come anche l'etimo greco e latino che ingloba e diffonde.
tuttavia il rischio è fare come i francesi che se l'ordinateur fa le bizze, loro muovono la souris (che schifo!) e provano a recuperare i dati dall'archivio numerique, anche se in italiano avere problemi con l'Ordinatore e reagire spostando il Sorcio per recuperare i dati (che possono essere carmina di catullo) dall'archivio Numerico fa un pò impressione.
Trovo che sia naturale che la lingua d'origine del mondo scientifico che crea e diffonde una tecnologia rimanga poi attaccata alla terminologia a marchiare tale atto genetico.
Lo stesso successe e succede con la terminologia medica ad esempio, filiazione dei dottor house del peloponneso ... tanto è vero che se aprite un dizionario inglese trovate il termine 'sciatica' paro paro come lo scrivo io terrone... opss cittadino della magna grecia!
E se le tecnologie di cui seguiamo le mode sono l'informatica (o computing?), o anche le acquisizioni sociologiche, che vengono dall'ellade pananglofona, allora (anche col management) stiamo naturalmente sottoscacco.
Ma nella cucina e nella musica il mondo parla ancora italiano (anche in giappone...).
cheers
;-D
(sta a significare che implemento saluti... soprattutto a quel grande di Subhaga!)
Scritto da: EL_NINO | 17/11/2009 a 19:15
Ricambio i tuoi saluti assai assai caro EL_NINO. E' un piacere leggerti e venire a fare quattro passi elettronici da queste parti. E grazie tante e salutoni al padrone di casa, e Michele Crismani mi ha fatto trascorrere la scorsa estate bellissimi giorni fanciulleschi (sono di origine terrunciella, Luciano, ma non pugliese).
Scritto da: Subhaga Gaetano Failla | 17/11/2009 a 21:27
La lingua è come un "organismo vivente": si evolve e modifica nel tempo. Dobbiamo rassegnarci.
Però chi (come quelli che sfotte divinamente Subhaga ) abusa per snobbismo di termini inglesi è un emerito coglione. Senza mettere in conto quegli altri che (vedi provini Grande fratello), sostengono che Londra si scrive L'Ondra!!!!!!!!!!!!! e in compenso dicono di aver viaggiato molto.
Chissà se rimanevano a casa...
Scritto da: ilva | 17/11/2009 a 21:37
El Nino: nemmeno io credo all'autarchia linguistica, a fesserie come i fascisti che traducevano il francese "panorama" col buffonesco e stupido "tuttochesivede". Una lingua viva è ovvio che cambia, cresce, muta e si arricchisce ogni giorno. Grazie a influssi multiformi: parole straniere accolte così come sono oppure trasformate, neologismi, termini dialettali che divengono nazionali, espressioni specialistiche che si impongono, vocaboli dimenticati che riemergono dal passato eccetera. Tutto ciò è un processo vitale stupendo che dà linfa e nutrimento alla lingua, sempre più variopinta e ubertosa. Trovo invece desolante quando il linguaggio si immiserisce e impoverisce perchè scopiazza (e malamente) relitti di altre lingue, buttando via la propria personalità per scimmiottare gli stilemi di altri paesi, imitando la peggior televisione, prendendo a modello la pubblicità i comicastri i burocrati i politicanti i giornalistucoli. Così, una lingua agonizza.
Scritto da: luciano / idefix | 17/11/2009 a 21:48
ahem, la pugliese sarei io :-P
Scritto da: supermambanana | 17/11/2009 a 21:53
In Puglia sono stato molte volte: in particolare Bari, Bitritto, Martina Franca, Calimera. Incontri con le scuole e con le biblioteche, premi, in vacanza con mia moglie, due spettacoli teatrali realizzati dai ragazzi traendoli dai miei libri...Insomma una terra in cui mi trovo benissimo, dove ho trovato belle persone (la famiglia Carone, Annapia Salamina e il marito, Stefania di Calimera, Leo e la sua famiglia di Calimera...e dimentico tanti altri), ottimo cibo, splendidi ulivi (un albero così narrativo), molte idee per scrivere, calore umano.
Scritto da: luciano / idefix | 17/11/2009 a 22:01
La lingua più bella resta comunque il dialetto, quello ruspante, viscerale...pieno di saggezza e malizia contadina ; e di ironia, mordace o accondiscendente, a seconda dei casi.
Io ho solo due registri linguistici (adesso ne ho un terzo, goffo perchè "in erba": quello del blog): mi capita di parlare "come un libro stampato", ma se devo dire qualcosa che mi viene dall'"utero" mi scappa il dialetto.
Il mio (come tutti, credo) è pieno di espressioni colorite e intraducibili.
Scritto da: ilva | 17/11/2009 a 22:05
Per es.
il verbo "cabalisé"
(che credo abbia a che fare con la Cabala) non vuol dire pensare, neppure riflettere, neppure rompersi il capo per cercare il bandolo della matassa o una Risposta che non esiste, neppure rimuginare...
Eppure significa tutte queste cose messe insieme più una molteplicità di altre.
(Spesso ha persino il sapore amaro di un rimorso per un gesto scortese e/o fuori luigo, o di un'ansia più o meno definita).
Altro che "to implement"!
Se c'è qualche piemontese che lo conosce mi supporti nell'ardua impresa di tradurlo in italiano.
Scritto da: ilva | 17/11/2009 a 22:15
...CABALISè ..è bellissimo.
Mi ripropongo di adottarlo nel mio archivio dei registri linguistici (che utilizzo in modo confacente al 'role set' adeguato alla situazione ... eh eh).
Invece Vi propongo una riflessione su una parola contentitore della mia terra che trovo di una utilità spaventevole in numerosi contesti: CABBASISE.
E' un pò come la res latina o the stuff inglese, ma assume connotati più postribolari se usata in certi contesti, mentre all'interno di contesti tecnici può assumere un ruolo ancillare rispetto a termini di cui non si ricorda il significato o lo spelling.
Scritto da: EL_NINO | 17/11/2009 a 22:25
Subhaga Gaetano mi ha fatto tagliare dalle risate:)
Ilva io ADORO i dialetti.
Naturalmente adoro in primis il mio romanesco, a cui ho dedicato diversi post semantici. Ma pure mia suocera che viene dalla campagna laziale, ci ha dei lemmi troppo fichi!
Per esempio io adoro il concetto di "intrappoletto" gli intrappoletti sono quelle cose che non abbiamo il coraggio di buttare e che mettiamo in fondo all'armadio. Poi dopo un bel po' di tempo te apri l'armadio e tra'!! perdi un pomeriggio intero:)) essi sono intrappoletti perchè ti intrappolano:)
non è fantastico?
Scritto da: zauberei | 17/11/2009 a 22:47
El_nino
fai qualche esempio, please...
Se hai seguito il "Dialogo sul dubbio" (non mi riferisco a Platone, ma a me e Luciano), allora forse capirai il mio:
Io sono una che "a cabalisa" (indicativo presente 1^persona) tant.
Più chiaro il concetto?
Scritto da: ilva | 17/11/2009 a 22:49
Zau: sì, troppo carino!
Geniale, direi; degno di Freud e dei più eccelsi poeti di tutti i tempi.
Scritto da: ilva | 17/11/2009 a 22:56
Gli "intrappoletti" mi dan l'aria di quei folletti burloni che compaiono in certe fiabe. Però anch'essi hanno il loro lato oscuro.
Beata te che puoi scrivere in romanesco. Il mio dialetto non è l'elegante "torinese". Non puoi usarlo per scrivere ed ha suoni ostici. Esiste una frase :"Due peperoni bagnati nell'olio" che qualche leghista del loco usa per testare chi gli sta davanti.
Se vieni da Torino o Alessandria già non sai più pronunciarlo come si deve.
Scritto da: ilva | 17/11/2009 a 23:10
Buongiorno Ilva:
non mi sono ancora svegliato e già ho 'addumato u' cabbasise'.
Ma dove cabbasise l'ho messi gli occhiali?
Mi bastano 2 siti di rassegne stampa e già le dichirazioni dei servi del berlusca mi scassano pesantemente i cabbasisi.
Quando mia nonna mi concede l'onore di lavorare allo sfincione, non fa altro che dirmi: 'amunì, ninuzzo, appena finisti cu' ri'iano , passac'ci supra n'autru mestolo i'cabbasisi ... ' (in questo contesto mia nonna usa il termine cabbasisi per indicare: a) la teglia quadrata da sfincione che giace in alto sopra alte 20 teglie e tortiere; b) la pignatta dove sobolle l'altro cabbaise che è la salsa/intruglio da sfincione con cipolle e acciughe; 3) il mestolo o il forno; 4) il celeberrimo soldatino epigone eponimo della buonanima del nonno; 5) il nonno stesso come la parte per il tutto (sineddoche); 6) il telecomando della tv sintonizzata di default su rete 4...; 7) un qualcosa che si è già dimenticata o comunque non si ricorda più se le chiedo conferma se il cabbasise ch mi chiede sia uno dei punti 1-3.
Pensavo che quell'adorabile profugo di Camilleri avesse ormai diffuso per tutta la penisola... alcuni nostri gioielli semantici.
Nota finale: per la nonna (e non solo) un'alternativa accettabile e meno equivoca al cabbasise è l'affaricinìsi, che ha connotazioni più teniche o tecnologiche (il VCR ne è il capostipite).
Scritto da: EL_NINO | 18/11/2009 a 07:32
..ma chi ccabbasise ho combinato?
un elenco numerato a, b, 3, 4, 5, 6, 7.... ?!
vado a conzare l'affiricinisi e lo metto sul fuoco ... che mi serve videntemente un altro caffè.
BUONA GIORNATA!
Scritto da: EL_NINO | 18/11/2009 a 07:39
I dialetti sono stupendi, vivissimi, scoppiettanti di espressività. Come le cucine regionali e casalinghe.
E allora queste schifezze linguistiche appiattite(per dirne quattro: implementare, ok, piuttosto che, tvb) sono come andare a mangiare da McDonald.
Scritto da: luciano / idefix | 18/11/2009 a 09:19
l'affarec'nese si sposta anche a nord-nordest, el_nino, basta sostituire le "i" con le "e".
A proposito, un appello a tutti i meridionali: facciamo una petizione alla Crusca per la promozione finalmente ad italiano corrente e corretto de lo scatolo?
Scritto da: supermambanana | 18/11/2009 a 09:52
Ilva ma te te droghi! Ogni dialetto può diventare nasce trucidissimo e elegantissimo insieme, anzi il romanesco meno di tutti, per questa sua imbarazzante vicinanza col toscano. Cioè il toscano è l'italiano bello, il romanesco è l'italiano brutto. Manca un po' la ricchezza semantica di certi dialetti che sono proprio altre lingue, e se vedi bene sono quelli delle estremità e delle lontananze: il siciliano, il sardo, il veneto.
Secondo me anche il piemontese ci deve avere i suoi che.
Scritto da: zauberei | 18/11/2009 a 09:53
Ehilà! Scusate tanto, ma vi siete dimenticati del napoletano. Non è per campanilismo (io adoro i dialetti di tutta Italia), ma il napoletano è una e vera e propria lingua a parte e credetemi se vi dico che è difficile sia a scriverlo che a leggerlo.
Ha ragione Ilva quando parla del piemontese e di alcune parole che a volte sembrano impronunciabili. Ho amici e parenti in Piemonte, e quando vado lì mi diverto ad ascoltare le persone che parlano in dialetto, anche se non capisco una mazza, a meno che non ci sia qualcuno con me che traduce.
Riesco ad afferrare i francesismi, ma il resto no.
Scritto da: Alessandra | 18/11/2009 a 10:10
Pensate che esisteva pure un dialetto milanese una volta!
Scritto da: offender | 18/11/2009 a 10:28
El Nino:
il tuo cabbasisi sembra avere una valenza semantica pressochè infinita.
Zau: volevo veramente dire che il mio dialetto non è "elegante" come il Torinese. Il torinese è più signorile, più musicale, più "francese"; più "falso e cortese", come si dice, appunto, degli abitanti di Torino.
Il mio è popolare, ruspante, sbragato ed ha una suoni più duri, più rozzi. E' un dato di fatto.
Io, naturalmente, preferisco il mio: quello di Alba e dintorni.
Fuori tema:
oggi durante una conferenza una grafologa ha interpretato (senza la presunzione di essere esaustiva)un pezzo scritto da me.
Sono rimasta allibita da alcune sue osservazioni.
Se fossi andata da una maga, ci avrebbe azzeccato meno!
Scritto da: ilva | 18/11/2009 a 18:40
Se tu fossi andata da una maga non ci avrebbe azzeccato un ... (qui volevo scegliere il termine dialettale in omaggio a te Ilva, ma poi ho deciso di farvelo immaginare ognuno il suo preferito).
La grafologia è una vera scienza con fior di studiosi serissimi. Io diversi anni fa ho avuto la fortuna di avere per maestro ed amico il Prof. Pacifico Cristofanelli che allora insegnava, e credo insegni ancora all'Univ. di Urbino:
http://www.periziagrafica.it/index.htm
Uno dei suoi saggi (mi pare fosse la pubblicazione riveduta e corretta della sua tesi di laurea): "PEDAGOGIA SOCIALE DI DON MILANI", del 1975, è un libro che, sebbene non c'entri nulla con la grafologia, dà il senso della serietò e profondità del pensiero (giovanile) di Cristofanelli.
Un saggissimo saggio che spesso riprendo tra le mani e che (se si trovasse ancora - Edizioni Dehoniane Bologna) consiglierei a tutti.
Grafologia e "magia"? Come paragonare Obama a Berlusconi... hemm.
Ilva, quando ti ricapita fatti dire tutto anche quello che forse la grafologa non ha voluto dire (i grafologi di solito non infieriscono, se non in tribunale) poi vedrai, altro che allibita!
Sto scherzando! Non credo che avrai perversioni nel fondo del tuo inconscio, tuttavia spesso i grafologi professionisti sanno snidare anche quelle.
Scritto da: Irnerio | 20/11/2009 a 11:07
Irnerio:
qualcosina di grafoligia lo so anch'io e sono d'accordo con te.
Quella della "maga"era una boutade, ovviamente...
Un consiglio: non prendetemi troppo sul serio, quando scrivo.
Quanto meno: non prendetemi alla lettera.
Se no sarò costretta a spiegare le "barzellette", le metafore, le iperboli, i "tanto per dire" ecc...il che non è lusinghiero nè per me, nè per voi.
PS. Mi riferisco anche al discorso su Battisti.
Scritto da: ilva | 20/11/2009 a 19:09
Certo Ilva, hai ragione, e in fondo si capiva che la tua era una boutade, ma con il mio intervento mi sono permesso di "chiarire", e/o di "prevenire" sul nascere eventuali accostamenti Grafologia-Magia anche nei confronti di altri che avessero letto le tue parole.
In quanto a spiegare le barzellette, le metafore (e, aggiungo io, i doppi sensi), ecc., chiedi a Luciano (si fa per dire) quante volte è successo anche a me e ad altri, proprio in questo bellissimo spazio del Ringhio...
Quindi non ce la prendiamo, anzi, anche perché questi "malintesi" spesso contrubuiscono ad arricchire le discussioni.
Scritto da: Irnerio | 21/11/2009 a 11:00
Infatti, questo è quasi sempre il mio scopo quando intervengo con una "stronzata"(cercare di arricchire le discussioni, deviandole dal tema principale, quando mi sembra caduto in un'impasse o aver imboccato strade troppo note e/o senza via d'uscita).
Questo non esclude che a volte le "stronzate" siano "stronzate" vere, senza secondo fine :-)
Scritto da: ilva | 21/11/2009 a 12:12
Ilva: uno dei "padri" del liberalismo (John Stuart Mill) diceva infatti che il dissenso non va "tollerato", bensì fomentato.
Scritto da: luciano / idefix | 21/11/2009 a 14:56
LUciano: questo tale, come si chiama...Jhon Stuart Mill :-), doveva avere una bella testa.
Giusto per "fomentare", sai che io detesto la parola "tollerare"? La trovo troppo vicina, per significato, a "sopportare".
Della serie: mi stai sulle palle, però ti sopporto.
Chi vorrebbe sentirselo dire?
Personalmente preferirei uno schietto vaffan...
Purtroppo sembra che "tollerare" e "tolleranza" (che già mi piace di più) non abbiano sinonimi, che non siano peggiorativi.
Scritto da: ilva | 21/11/2009 a 16:11
Oh, ma che bello questo post e tutti i suoi commenti! Da ex-informatica (ma un informatico è marchiato per sempre e io sempre lo sarò, amen) posso dire che implementare è uno dei primi verbi che ho imparato al lavoro, quasi venti anni fa.
E come implementavamo!
E' vero, credo che sia entrato nell'italiano grazie agli informatici.
Da traduttrice semidisoccupata nonché linguista appassionata posso dire che la lingua è un organismo vivente che per forza di cose si evolve anche se a noi non va a genio, però concordo con Luciano quando parla di impoverimento!
Io odio tutte quelle parole inglesi usate a sproposito quando ci sono le corrispondenti italiane! Ma insomma!
Ché poi questo non mi vieta, a casa mia, di scherzare parlando "americaliano" con mio marito, perché è ovvio che ascoltando molto inglese, ti rimangono nella testa delle cose anche senza volerlo.
Per quanto riguarda le parole tipo mouse o computer, anche i cari svedesi traducono, quindi pare che noi italiani siamo i soli a tenere l'inglese.
C u l8r! :-P
Scritto da: la.stefi | 24/11/2009 a 17:35
Quanti esperantisti mancati!
Scritto da: Irnerio | 24/11/2009 a 19:09
la.stefi: a me fa ridere tantissimo mimare i vari linguaggi. Con una mia amica (non ne dico il nome perchè non so se gradisce essere citata) ci scriviamo delle dementi (e per non spassosissime)email in cui facciamo finta di essere volta per volta (e con i relativi linguaggi):
burocrati,
investigatori,
semianalfabeti,
cani,
gatti,
alieni,
siculo-triestini,
teledipendenti,
eccetera.
Perciò a me diverte pazzamente giocherellare con la lingua e con i gerghi. Diffido invece di chi usa il linguaggio in modo criptico e incomprensibile, arzigogolato ed elitario.
Scritto da: luciano / idefix | 24/11/2009 a 21:11
Concordo, Luciano. Io ho sempre giocato con le parole (prova ne è il blog gattesco!) e trovo divertentissimo farlo anche da adulta.
Noi usiamo un sacco di parole inglesi storpiate quando parliamo tra noi. E ci capiamo. Questo è il bello!
Scritto da: la.stefi | 26/11/2009 a 12:47