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01/03/2009

Commenti

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L'ultima cosa che hai scritto tu, mi pare molto ovvia, almeno secondo il mio pensiero. Ben sai come la penso sul Vaticano e sulla destra...Il Vaticano è diventato, a mio avviso, tra gli Stati più potenti a livello mediatico e politico. La destra lo sorregge e ne viene sostenuta. Dove andremo a finire?

Ma perché devo sempre scrivere un secondo messaggio per vedere pubblicato il primo? Succede soltanto a me oppure...? GRazie per un'eventuale risposta!

No, da qualche giorno anch'io ho difficoltà a inserire i commenti. Il perchè lo ignoro: ho controllato tutte le opzioni, funzioni eccetera del blog e in particolare quelle relative ai commenti. Ma è tutto a posto. Insomma, credo sia un problema (spero momentaneo e risolvibile) di Typepad.

Grazi Luciano, per la solerte risposta!!

Un Libro quasi perfetto, di Baudrillard, è

http://www.ibs.it/code/9788870783872/baudrillard-jean/delitto-perfetto-televisione

Dopo un paio d'anni che è stato in coda d'attesa, proprio oggi comincerò a leggerlo. E appunto per questo ho fatto il post.

Tecnicamente siamo... alla classica sigaretta del "post orgia". Sarebbe bene a questo punto prendere il classico ovetto sbattuto e rimboccarci le maniche perchè troppe conquiste le abbiamo date per scontate, non le abbiamo difese giorno per giorno come avremo dovuto fare e così ci siamo rilassati lasciando che l'appagamento prendesse il sopravvento ed ecco ...destra e clericali ritornare alla riscossa. Credo sia veramente ora di darci una mossa. Un salutone, Fabio

Condivido. Le generazioni che non hanno dovuto muovere un dito per avere diritti e benessere ma hanno trovato tutto apparecchiato sono in difficoltà (oltre che politiche ed economiche) anche psichiche. Il loro mondo rosato, che tendeva sempre e comunque verso il MEGLIO, si è infranto. La rete di protezione offerta dalle tanto vituperate famiglie si è sfilacciata. I diritti e le libertà che parevano acquisite in via definitiva si sono rivelati fragili e reversibili. Partiti e movimenti che sembravano solidissimi e intramontabili sono crollati. Tutto si è fatto liquido (come teorizza da anni Bauman) e lo stato liquido è uno stato mutevole, instabile e incerto. Tutto rischia di essere scritto sulla sabbia. E i nostri parametri di ieri sono impotenti a decifrare quanto accade adesso. E di conseguenza ad affrontare la realtà. C'è bisogno di analisi profonde, di idee coraggiose, di gesti forti e di tenacia quotidiana.

Mi chiedo: ma le generazioni che annaspano, lo sanno perché? Dobbiamo dirglielo noi? E ci danno retta? O aspettano che glielo dica la televisione? Forse dovremmo andare in televisione a dirglielo, infilarci la testa in una scatola quadrata e avvertirli che stanno annegando.

Oggi sono di pessimo umore, e meno diplomatica del solito.
1)Non amo Baudrillard, non amo tutte le filosofie del postmoderno, se non il suo principale teorico Jameson - che trovo molto molto più serio. Questa idea del vuoto culturale riempito da simulazioni è perfettamente coerente con la deriva di una sinistra che non sa prendere sul serio i linguaggi e i significati che le passioni scelgono per esprimersi, di un mondo intellettuale che perde l'aderenza con ciò che deve interpretare, e scambia questa mancata aderenza per vuoto reale. Oh la morte delle ideologie! Oh la crisi di valori! Oh come erano fichi quell'altri! Come semo fichi noi! Oh
stronzate. Quello a cui assistiamo non è un orizzonte di senso privo di significati, ma un orizzonte di senso pieno di significati, taluni anche orridi, taluni invece mischiati. Il postmodernismo è un lusso che si concedono gli intellettuali con il salotto al Marais, e se lo concedono nel loro sguardo, in realtà molto molto meno delle persone di cui credono di sapere interpretare i significati.
Leggi jameson damme retta che te fa mejo alla salute.
2. Attenzione alla trappola segreta che c'è nel criticare certi cambiamenti storici: la trappola segreta è il conservatorismo più bieco. La modernità non è più semplice ma più dififcile e parcellizzata in costruzioni di senso diverse. Questa cosa non è un gran danno. Per te Luciano è davvero una catastrofe che un ragazzo Dio Bbono può scegliere della sua vita senza necessariamente dover fare quello che dice papà suo? E' una catastrofe che io donna possa decidere di strutturare una mia identità professionale ed emotiva senza che lo faccia la famiglia per me, regolarmente squalificandomi e confinandomi? La famosa crisi della struttura familiare, e della rigidità prescrtittiva con cui un tempo si tramandavano valori e credenze combaciav con la maggiore libertà dell'individuo di fare di sbagliare di essere liberi.
3. E se vogliamo parlare di psicologia sociale - esistono delle nuove psicopatologie culture baund diciamo, e delle nuove difficoltà psichiche da addebitare a tante cose, tra cui questa nuova libertà di strutturazione - in contesti che tendono poi socioeconomicamente a minacciarla (sii libero - de che se poi non lavori? non è facile) - ma finiamola con questo moralismo, per cui pare che prima si stesse na favola ah l'eden del benessere! Prima si stava una merda come ora, solo che la merda aveva altre forme storiche, altre patologie altre modalità espressive.

Pardon

Io domando scusanda ma io povero ignorante: cosa essere "nuove psicopatologie culture baund"?

Il punto è che molti discorsi io stento a capirli, anche perchè la maggioranza delle espressioni gergali non le conosco: penso che nella comunicazione si dovrebbe cercare di essere il più possibile chiari e comprensibili. "La chiarezza è un obbligo morale" diceva Karl Popper. E su questi temi scrisse cose molto belle e alte (a mio avviso) Primo Levi.

PPPP
mi hai fatto ridere:)

vuol dire che ci sono delle forme di malessere psicologico scatenate dallacultura che prima non c'erano, e che sono legati solo a certi contesti o momenti storici: per esempio l'anoressia c'è spempre stata ma di fatto è molto legata a questo momento perchè legata a questa cultura. Anche la tossicodipendenza. Invece ci sono etichette diagnostiche che ora non esistono più. Prima per esempio gli ospedali psichiatrici erano riempiti dalle isteriche - ce ne erano tantissime. Oggi è molto difficile trovare un solo caso di isteria, così come era descritta un secolo fa.
Si sta malecomunque ecco - gli stili variano da epoca a epoca (un po'):)

(si hai ragione:) ma dubito fortissimamente che tu non abbia capito la salsa del mio discorso.)

Molto acuta questa osservazione.
Mi interessa molto anche il tema della chiarezza come obbligo morale.
Ci dai qualche dritta, Luciano?

Io invece sono anche terrorizzata dalla chiarezza come scusa del populismo. sono terrorizzata dal fatto che ti dico che ti spiego, ti cambio le parole, ti faccio una sintesi di tre paginette e in questo modo, ti tratto da imbecille, ti tolgo la possibilità di accedere a un vocabolario e di concentrarti per almeno cinque minuti. Essere chiari è importante - ma essere demagogici è da stronzi.

Scusate se non mi sento così acculturato (non ho mai letto Jameson, né Baudrillard, e forse mai li leggerò) e quindi delle potenziali stronzate che potrei dire. Ma provo a dirle lo stesso.
Le nuove generazioni annaspano (dice gnac), dobbiamo dirglielo in qualche modo?
E’vero che la colpa dell’annaspamento è della generazione precedente, quella che ha aperto i rubinetti, ma credo stia a loro trovare il tappo della vasca, o la loro ciambella di salvataggio. Noi avremo sbagliato a dosare il liquido (acqua? merda?), ma se li abbiamo aperti è che le generazioni prima di noi ci avevano lasciato “a secco”. Noi abbiamo provato a immaginare il mondo di oggi. Poi l’edificio è venuto su sbilenco, i nostri progetti erano fondati su calcoli con molti errori. Ci abbiamo provato (credo) e in quell’edificio stiamo invecchiando tristemente noi e ci stanno vivendo i nostri figli. Ma sta a loro scegliere se demolirlo o puntellarlo per rimetterlo su dritto.
Insomma, a me pare che ogni generazione dovrebbe imparare a immaginare e poi disegnare il proprio futuro, a inventarsi il mondo e il modo in cui vogliono vivere. A riconoscere i propri malesseri, a crearsi i loro punti di riferimento, i nuovi valori, a cercarsi i propri leader.
Ha senso che siamo noi a suggerirglieli? Noi che abbiamo creato il clima di orgia e poi ci siamo addormentati nel coma post-orgiastico (ammesso sia questo e sia vero ciò che dice Baudrillard)?
Noi dovremmo forse limitarci a riconoscere quegli errori di calcolo nel nostro edificio, mostrarglieli e aprire loro gli occhi. Ma il nuovo progetto spetta a loro. A me piacerebbe osservare il loro disegno e sostenerlo qualora lo trovassi interessante. E’ che finora vedo solo scarabocchi. O brutte copie dei nostri disegni sbagliati.
Questo mi fa un po’ paura.

Premetto che (nel campo della scrittura "creativa")chiunque è libero di scrivere come gli pare: chiaro, oscuro, criptico, ambiguo, allusivo, allegorico, metaforico, diretto, misto eccetera eccetera. Diverso è il caso di chi deve fornire istruzioni tecniche oppure ricette mediche o indicazioni stradali: dovrebbe obbligato a essere (o a tentar di essere) chiaro.
Però, premesso questo, faccio mio quanto diceva Levi: "uno scritto ha tanto più valore, e tanta più speranza di diffusione e di perennità, quanto meglio viene compreso e quanto meno si presta a interpretazioni equivoche". E ancora: "noi vivi non siamo soli, non dobbiamo scrivere come se fossimo soli. Abbiamo una responsabilità, finchè viviamo: dobbiamo rispondere di quanto scriviamo, parola per parola, e far sì che ogni parola vada a segno. Del resto, parlare al prossimo in una lingua che egli non può capire può essere malvezzo di alcuni rivoluzionari, ma non è affatto uno strumento rivoluzionario, è invece un antico artificio repressivo, noto a tutte le chiese, vizio tipico della nostra classe politica, è un modo sottile per imporre il proprio rango" Qui finisce la citazione di Levi.
Ecco, io credo che sforzarsi di parlare e di scrivere chiaro sia un esercizio di umiltà, un ponte gettato verso gli altri, nel rispetto degli altri. (Tutt'altra cosa è la rozzezza verbale, che nulla ha a che fare con la semplicità ma semmai con la faciloneria. Essa non è un ponte verso l'altro ma un inganno, nel quale chi parla o scrive finge di abbassarsi al livello dell'interlocutore, ritenuto inferiore, per turlupinarlo.

Ben detto Luciano. Sottoscrivo al 100 %.
Francamente, lo "scrivere (e il parlare) difficile" mi pare sia il più delle volte solo un vezzo di chi vuole (magari anche inconsapevolmente) far pesare agli altri la propria maggior cultura, i propri studi tanto più profondi, in definitiva la propria superiorità (magari soltanto presunta).
Non per nulla è un vizio al quale indulgevano e indulgono tuttora tanti insopportabili intellettuali (sè di centi tali) "de sinistra". Uno per tutti: Toni Negri.
Poi certo, ci sono anche concetti e ragionamenti che - TRA ADDETTI AI LAVORI -
richiedono l'uso di terminologie e gerghi specialistici, ma si tratta appunto di questioni da specialisti. Buon senso (e buona educazione) imporrebbero di non usare linguaggi del genere fuori contesto.
Mentre se proprio si deve usare un termine tecnico/scientifico nel linguaggio comune, buona norma sarebbe spiegarlo.

Luciano, sono sacrosante parole, ma non sempre facilmente applicabili e qualche volta facilmente strumentalizzabili. Colla scusa della chiarezza si incula una gran quantità di gente. E' l'alibi della divulgazione di bassa lega, è l'alibi di chi diffonde cattiva scienza cattiva psicologia cattive informazioni. di queste cose si serve la propaganda reazionaria da sempre - e il caso Englaro è eclatante.
Oggi sono polemica, e me ne spiace. ma continuo: la chiarezza eccessiva, non rivia solo a mistificazioni, ma spesso avvalla la pigrizia - tante cose sono percepite come complicate solo perchè richiedono un tantinello di concentrazione - quella complicazione alle volte è onestà. Siccome questo tuo commento nasce da uno mio, di cui non ti sei peritato di dare un parere, io so che se scrivo in maniera complessa è per essere onesta verso categorie complesse e per il desiderio di non prendere per i fondelli nessuno.
Mi aspetto che una persona di cultura se legge Baudrillard e trova "culture baund" acceleri l'intuito visto che non è cinese, e facilitato dall'assenza di geroglifici e ideogrammi se proprio l'intuito non aiuta, si serva del vocabolario.
E dinnanzi a una formula gergale, cioè che rinvia a una appartenenza a un discorso, è davvero legittimo dire so gnurand polemicamente? all'inizio mi hai fatto ridere, poi comprendo che ritieni questa tua reazione etica e allora ci rimango perplessa. Perchè io non ci rimango male se qualcuno usa il gergo di appartenenza della sua disciplina - so di non sapere tutto, e so che tutto non è+ accessibile per fortuna, agli stessi livelli di complessità. O mi informo o chiedo informazioni - non ne morirò.
Sempre che non scopra che leggendo due volte, capisca quello che l'altro intendeva dirmi.

Per il resto, trvo interessante quello che dice Carlo Esse. Mi chiedosolo se la scarabocchitudine che lui vede, non sia determinata solo dall'eccessiva vicninanza storica, dalla contemporaneità che c'è tra lui che guarda e sti giovani che dicono.
tutti i padri hanno parlato di scarabocchi pensando ai loro figli.

"tutti i padri hanno parlato di scarabocchi pensando ai loro figli."
Così dici, Zau, ed è anche vero. La generazione di mio padre (oggi ottantasettenne) forse, anzi sicuramente, così vedeva noi "sessantottini" (brutto termine, oggi, ma famo a capisse). Forse è così anche oggi. Forse è la miopia di un più che cinquantenne con le lenti multifocali (io). Chissà. Ma se non sono scarabocchi qualcuno ce li spieghi: io non li capisco. Non riesco a capire quale mondo le nuove generazioni stiano immaginando. Il nostro frattanto invecchia paurosamente, rovinosamenete.

E concludo (rimettendomi in linea con il Lucian-pensiero): lasciamo (leggi: "le nuove generazioni sono disposte a lasciare")che siano i clericali, e le forze più retrive del paese a puntellare il vecchio edificio? Nel senso che noi "vecchi" da soli non combineremo niente se saremo solo noi a tentare di impedire questo puntellamento sghembo. Una nostra risposta a questo con i nostri concetti, le nostre categorie vetuste,è una risposta perdente (e lo stiamo vedendo nello sfascio della sinistra). Ma che dovranno essere loro a proporre il nuovo disegno; noi potremmo, al limite (e se riusciremo a capirli) sostenerli.

Zau, lo dico con molto franchezza: quando qualcuno (immaginando o addirittura sapendo che io non sono competente in una materia) usa volutamente un linguaggio specialistico che mi esclude, io diffido. Non mi sento per nulla "sminuito" o "inferiore" (in se e per se, l'ignoranza non è una colpa) bensì mi sento insidiato. Perchè penso immediatamente al "latinorum" di Renzo nei Promessi Sposi, all'uso consapevolmente o inconsapevolmente autoritario del linguaggio e del gergo e dunque diffido.

Carlo esse, io devo dire dipende: da alcuni diffido, da altri no. Dipende dalle intenzioni che gli attribuisco, dall'idea che me ne sono fatta che fa da cornice e contribuisce a interpretare un modo di parlare. Penso anche che non sia molto onesto spacciarsi tutti per Renzo, non siamo tutti renzi! In un certo contesto usare certi modi è meno legittimo che in altri. In una conversazione in cui c'è uno che parla di un Baudrillard è assolutamente consono citare Jameson, se si decide di citarlo in una conversazione che parla di supermercati (e lo sarebbe comunque) questa citazione sarebbe decisamente meno giustificata e andrebbe spiegata, certo nel modo più chiaro possibile.
Ma rivendico anche un certo fastidio nei confronti della arroganza populista della mezza cultura, della tuttologia: leggo un po' di vi un po' di li, e pontifico. La faccio semplice perchè ho deliberatamente eluso le cose complesse. E mi permetto di giudicare chi usa un linguaggio complesso perchè mi sta ostentando un potere, e una gerarchia. Che è magari in diversi casi vero. Ma è anche giusto: perchè è passato il tempo in cui bastava essere gente di cultura per poter pontificare di tutto, e ci sono settore della cultura che esigono tempo e fatica, e quel tempo e quella fatica e quella strutturazione di conoscenze, quella stratificazione si traducono in gergo. Ecco, fermo restando che io per prima cerco di essere chiara quando posso, e questo di norma mi è riconosciuto, ci sono dei contesti in cui trovo giusto usare il gergo: il primo è quando so che l'interlocutore - come sostanzialmente su questo e su altri blog, dove non è che si parli in maniera poco strutturata - mi può capire, il secondo quando l'interlocutore millanta delle conoscenze, e io capisco che sono più superficiali di quanto vuol far credere. Questo con la psicologia capita spessissimo, ed è una cosa che mi fa incazzare oltre misura: perchè è una disciplina articolata, con un sapere strutturato e vaffanculo, la devi rispettare e prendere sul serio, e non mi basta che hai letto tre cazzate: si sono arrogante, si mi do delle arie, si rivendico un gergo, si per costruire questo gergo devo studiare decenni checcazzo. Te senti renzo? Meno male - sempre meglio de Maurizio Costanzo.
Naturalmente Carlo - numme riferisco a te.
Come penso tu almeno, non stessi parlando di me - ma in generale.

Sugli scarabocchi - che dire. Non è che sto tanto meglio de te ecco. Non lo so. Però delle esegesi di scarabocchio a cercare nella rete ci sono. O anche nei romanzi. Non l'ho letto, ma forse la solitudine dei numeri primi qualcosa dice. O certi siti internet, o le raccolte di nuovi narratori. O i fumetti.

Attewnzione ho fatto casino
Allora due terzi del commento di sopra erano per Luciano, solo la parte scarabocchica era per Carlo S.
Me credevo che l'ultimo commento letto era di Carlo Esse.
ma la salsa non cambia.

Sì, Zaube, un po’ di casino. Ma non fa nulla. Perché un po’ la penso come Luciano. Io mi ricordo quando feci l’esame di storia del teatro, che dovevo studiare:
- le dispense di Ida Magli: bellissime e interessantissime.
- Lo Spazio Scenico di Allardyce Nicoll, un testo affascinante, divenuto un classico.
- Un libro di nonmiricordoneanchechì (comunque italiano) dai periodi lunghissimi e involuti (soggetto a pag. 9 e verbo a pag.12), pieno di concetti astratti che mi rimasero astrusi e incomprensibili.
Tutti e 3 erano testi “per addetti ai lavori”, mica dispense per l’edicola. Ma i primi 2 volevano farsi capire, e lo si percepiva, il terzo palesemente se ne starcatafotteva di essere compreso. Secondo me voleva solamente parlare e straparlare e dirci (o dirsi): ammazza quanto so’ fico, che pensieri geniali che ciò, prova a confutarmeli (sellicapisci).
Non ci capii una sega. Ma presi lo stesso 28.
Sono più che sicuro non sia questo il tuo caso. Però il pericolo nel parlare (e scrivere) così c’è. Ed è tipicamente nostro. Nessun anglosassone se la cava in questo modo, neanche tra gli addetti ai lavori.

Interessante discussione.
Ribadisco che, quando io incontro libri o articoli o discorsi arzigogolati e premeditatamente difficili, inzuppati in un linguaggio fumoso o iniziatico che gode della propria ambigua indecifrabilità, generalmente mi infastidisco. Preferisco di gran lunga chi cerca di farsi capire.

Alla fine
cusa c'à lè sta
:
"culture baund" ?

Io sono abbastanza ignorante. Però quando "sento" che un argomento mi viene spiegato come ad un bambino dell'asilo, un po' ci rimango male, mi sembra come di essere defraudato... e mi viene in mente quando da giovincello il mio maestro di musica mi sottoponeva degli spartiti di Beethoven "semplificati", io mi ci impegnavo con diligenza, alla fine quando imparavo il pezzo e lo suonavo al piano ero soddisfatto... però però però... poi andavo ad ascoltare la versione "completa" e mi sentivo un deficiente... mancavano gli abbellimenti, alcuni intervalli, alcuni pedali...
Ora quando affronto pagine difficili, a volte mi spazientisco, ma mi rendo conto che se voglio veramente crescere ed "acquisire" quel testo, devo concentrarmi e pensare solo a quello senza distrazioni, è un modo di rispettare me stesso e l'autore che probabilmente si è fatto un m... tanto per arrivare a propormelo.

Io credo che alla fine dipenda dalla buona fede di chi sta parlando, dalla sua capacità di valutazione dell'ascoltatore e di quanto voglia farsi capire. È un errore non riuscire a comprendere che non si sta parlando ad una platea di "iniziati", come, d'altra parte, può risultare offensivo trattare l'ascoltatore come un deficiente.
Se, invece, si parla davvero ad una platea di deficienti, si possono tranquillamente usare terminologie tecniche, perché tanto non capirebbero lo stesso, ma almeno si fa bella figura. Sto scherzando...

Sono d'accordo con Jubai: trattare gli interlocutori come se fossero dei mentecatti, parlandogli o scrivendogli in modo condiscendente come certi fanno con i banbini di quattro anni, è offensivo. Ma lo è anche annichilire gli interlocutori usando un linguaggio a loro incomprensibile, astruso e specialistico.

Posso fare una piccola precisazione, visto che si parla di esser chiari? Credo che Zauberei volesse dire "culture bound" e non "baund" (l'ha scritto come si pronuncia). Letteralmente vuol dire "legato alla cultura"; Zau ha chiarito che le patologie psicologiche odierne sono legate alla cultura attuale, quindi da qui "culture bound". E con questo non sto spiegando la psicologia, ma chiarisco un espressione inglese, che è la mia materia.

Anche perché, il parlare semplice per persone semplici, mi ricorda il primo Berlusconi che ricordava a coloro i quali dovevano condurre le trasmissioni della nascente fininvest, che il loro target era costituito da gente che aveva fatto si e no le elementari e che non era tra i primi della classe...
Ora ne vediamo i risultati, la neo-destra ha prevalso sul piano culturale proprio per questa facilità di approccio, il pubblico-consumatore (non più cittadini) ha potuto godere di beni senza tradurli, senza sforzo. L'igiene televisiva vuole che tutto sia facilmente godibile e velocemente consumabile, in modo da creare nuovi oggetti per nuovi desideri, tali da garantire una parvenza di felicità. La spettacolarizzazione poi di eventi tragici e catastrofici, che ognuno può seguire seduto comodamente sul suo sofà, ha prodotto nella società il virus del distacco dal dolore, un'anestesia antologica, capace di confondere la realtà con la finzione.
Spero di aver ben reso quello che volevo dire...

ontologica e non antologica...

Sì, Jubai, chiaro.
Però insisto: si possono affrontare argomenti complessi in maniera il più possibile semplice, ad esempio evitando termini specialistici e invece ricorrendo a esempi illuminanti, non dando per scontate certe nozioni ma sforzandosi di offrire all'interlocutore una bussola per muoversi. Certo: ristrutturare le informazioni costa assai più impegno che non adagiarsi nelle frasi fatte e nelle strutture usate e abusate.
(Quando dirigevo il mensile Konrad, ho fatto riscrivere più di un articolo: se dava per scontato qualcosa che il potenziale lettore poteva anche ignorare. (Esempio: se in un pezzo cito Keynes, devo dire che è un economista degli anni Trenta sostenitore dell'intervento pubblico. Se faccio il nome di Bloom, devo dire che è un critico letterario. Se cito Howard Hawks, devo ricordare che fu un regista cinematografico. A meno che io non mi stia rivolgendo a un pubblico specializzato, per il quale le precisazioni sono superflue)

Ma appunto Luciano è questioni di contesti. E sulla necesstà di fare divulgazione in maniera chiara sfondi una porta aperta. Ma io non stavo facendo divulgazione, io rispondevo a un interlocutore che di solito si mostra già colto e competente. Leggi baudrillard? è assolutamente legittimo ribattere con un altro nome. Non lo conosci? pazienza. Non di rado paventi conoscenze di tipo psichiatrico, e usi con - eccessiva disinvoltura per me - categorie che derivano dalla psicologia. Io mi metto sul livello di questa disinvoltura, che per altro non di rado ti ho contestato - e rispondo alla tua disinvoltura.
Dire, uh so gnurand con predicozzo al seguito la trovo come dire una paraculata.
Cosa fai un giorno pontifichi dicendo che ah io ho scritto un libro con uno psichiatra, e poi un mese dopo dici uh ma con me non devi fare la saputella?
Con affetto - ma sgrunt!

Dopo di che alessandra ti ringrazio perchè citare in inglese toppando è una cosa teribbile:)

Io cerco di non pontificare. E quando parlo delle poche cose che so, vedo di raccontarle in maniera comprensibile agli altri. Quando dico che "ho scritto un libro sulla schizofrenia con lo psichiatra Peppe Dell'Acqua" non pontifico niente di niente su niente: faccio la semplice constatazione di un fatto. Poi (in base a quell'esperienza di scrittura) dico la mia opinione su alcune questioni. Tutto qua.
SU BAUDRILLARD: nel post, ho cercato di raccontare in maniera spero semplice ciò che ho capito di lui e di alcune sue tesi.

Grazie Luciano per la citazione di Levi.
Detesto l'uso del linguaggio difficile allo scopo di:
- far sentire inferiore l'interlocutore o comunque atteggiarsi a superiore;
- nascondere dietro il linguaggio forbito o tecnicistico la poverta' di contenuti
- dire e non dire per poter dire un domani: "mi hanno frainteso".

Sono d'accordo con Luciano: diffido e mi incazzo pure.

Diverso e' la banalizzazione del linguaggio insieme alla banalizzazione dei contenuti. Cio' parlare a slogan. Sono cose diverse.
Anche le cose piu' profonde si possono dire con un linguaggio semplice, dimostrando in tal modo rispetto per chi ci ascolta.

@ Zau: teribbbbbilissimo l'inglese scritto male. ;-)

Stradaccordo con Artemisia.
Faccio un semplice esempio: il tempo come quarta dimensione era una cosa che mi pareva astratta e che non avevo mai ben capito. Finchè, in un libro, non mi sono imbattuto in un fisico che faceva una spiegazione terra terra. Diceva: "avete un appuntamento con una ragazza al grattacielo Flinstone. Vi dovete trovare all'ottavo piano (prima dimensione: altezza), corridoio a destra (seconda dimensione), terza porta a sinistra (terza dimensione). Riuscite a trovarvi con la ragazza?" Al che, chiunque risponde: "No"
E il fisico: "E perchè no?"
"Perchè non so quando ci dobbiamo trovare"
"Quella è la dimensione del tempo"
Ecco, non sarà il massimo della precisione scientifica, con questa storiella non si passa un esame all'università, ma almeno qualcosina si afferra. E senza formule matematiche in cui il profano annega.

Anche il celebre assunto Panta Rei rende l'idea della mutabilità delle cose nel tempo, quarta dimensione da cui non è possibile prescindere, 2500 anni prima di Einstein, che tuttavia ha il merito di averlo preso in considerazione dal punto di vista strettamente scientifico.

Sì, certo. Tanto di cappello alla geniale sintesi di Eraclito o chi per lui disse quella frase. Però io (e parlo per me) ho capito di più con l'esempio del fisico inglese. Credo fosse Greene.

sei proprio sicuro di aver capito qualcosa da quell'esempio sulla coordinata tempo? io credo che un esempio del genere che tende a semplificare, porta invece all'effetto contrario: farti pensare di aver capito qualcosa che invece ha significati profondamente diversi. nella fisica quantistica si è scritto un mucchio di cose su questo argomento senza arrivare a conclusioni condivise.
tanto vale allora, per il momento, lasciare l'argomento agli addetti ai lavori. non c'è la pena capitale se non si conosce il significato reale della coordinata tempo.
sono d'accordo con zau in quasi tutto. meno quando fa la cattiva con luciano.

Marcob ha ragione. E ho sbagliato io (nel secondo commento) a dire un esageratissimo "ho capito". Ero stato più preciso nel precedente commento, quando avevo detto un più sensato "qualcosina si afferra".

Luciano famo pace!
Per me tu esprimi delle opinioni con una notevole dose di certezza, alla quale ribatto. In ogni caso, prendo atto, dalla prossima cercherò di essere più chiara senza dare per scontato alcunchè, ma scordete che se trovo che hai un'opinione con cui non concordo o che trovo non sufficientemente suffragata non te lo dica.

Alessandra teribbillerrima
(e sapessi quanto spesso me caputa...un fenomeno molto increscioso)

E famola, 'sta pacificazzione. Sempre lieto quando le mie opinioni, le mie idee, le mie valutazioni, i miei commenti eccetera vengono ribattutie con altre opinioni, idee, valutazioni, commenti.

Che bella la civiltà! Quasi quasi mi commuovo, non ci sono più abituato! Grandi Luciano e Zau :)

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giugno 2015

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