L'intervista che Zucconi mi ha rilasciato uscirà su
Konrad di dicembre.
Oltre ad essere una dichiarazione d'amore e d'odio, più amore che odio, verso gli Usa, il suo libro (NDR. L'AQUILA E IL POLLO FRITTO. Schedina in fondo al post) è un esempio di come si possa parlare di cose serie facendo ridere. Lei si diverte a scrivere?

Il titolo iniziale del libro sarebbe dovuto essere "
L'Antiamericano", accusa che gli scioccherelli dei blog di destra spesso mi rivolgono, ma l'ho cambiato pensando che l'ironia in Italia è un metallo scononsciuto e qualche babbeo l'avrebbe preso sul serio, ecco, ha ha, beccato, confessa, ammette, si autodenuncia. Certo che mi diverto a scrivere, scrivere è il mio vizio, la mia passione, la sola cosa che faccio volentierimi dà più piacere, almeno con i vestiti addosso (l'altra è fare il bagno in mare, cosa pensava). Io sono tra i pochissimi fortunati che possono vivere facendo quello che amano fare. Ma non dimentico mai una cosa: quello che scrivo deve interessare e divertire prima di tutto me, perchè se mi annoio io, che sono pagato per scrivere, come possono divertirsi coloro che devono pagare per leggermi? Nessuno è obbligato a leggermi.
Chi sono gli scrittori che sente più affini?
Dire "affini" sarebbe presuntuoso. Io sono un giornalista che scrive anche libri, non uno scrittore. Posso dire che venero Tomasi di Lampedusa, le cui descrizioni di ambiente e di personaggi sono reportage immaginari ma perfetti, che ogni tanto rileggo Manzoni, per la perfezione ineguagliata della lingua, che adoro Dostoevski, Kafka, Gogol, Orwell, e nei miei corsi di giornalismo assegno sempre la lettura del più formidabile saggio sul giornalismo mai scritto, "
Scoop" (credo sia “
L’inviato speciale" in italiano) di Evelyn Waugh. Ma oggi leggo pochi romanzi e preferisco la saggistica in stile americano, quella scritta, come il grande Thomas Friedman, per essere letta da noi mortali e non dal senato accademico. In Italia si scrive ancora per avere la lode dai colleghi e non dai lettori.
Possiamo sperare, prima o poi, in un suo romanzo?
Qualcuno mi accusa di non avere scritto altro che romanzi...ma non credo che ne scriverò mai uno ufficiale. La realtà è un'amante troppo affascinante, per tradirla con la fiction.
Lei ha una doppia cittadinanza: italiana e americana. Quanto la rappresenta il presidente Obama che è ufficialmente un meticcio e dunque un figlio del mondo?
Certamente più di quei personaggi della America "wasp", bianca e protestante, che per 200 anni hanno avuto in esclusiva la Casa Bianca. La sua elezione è semplicemente la manifestazione del fatto che, come dico nel mio libro, l'America non ha più una faccia, ma un mosaico di facce, e ognuno di noi, quale che sia il dna o il cognome o il pedigree è un americano come gli altri. Siamo tutti "mutts", come ha detto lui di se stesso e del cane che prenderà, "bastardi", figli del caso e della storia, e l'appartenenza a una "razza", a una tribu, a un'etnia non è questione di pelle o di labbra, ma di accettazione e riconoscimento di identità civili e di speranze condivise. Noi italiani, fino all'alluvione demografica dell'immigrazione, ci consideravamo tali per semplice nascita. Gli americani, tutti, si considerano americani per scelta e ora anche i soli che non scelsero di esserlo -gli africani figli di schiavi- possono dire di esserlo. Quando vedo straccioni e disperati approdare in Italia sono felice, perchè vedo che le future generazione di italiani saranno uomini e donne che hanno "voluto" essere italiani, e non lo sono soltanto per essere nati a Bari o a Novara o a Modena.
Il futuro del nostro pianeta potrà essere diverso da una sempre più diffusa mescolanza etnica e culturale? Oppure ci sarà spazio per rigurgiti sulla "pura razza"? Ariana o padana che sia?
Il "rigurgito", o la reazione autoimminutaria (che produce sempre malattie gravissime) è già in atto ed è comprensibile che avvenga. Lo shock è stato troppo violento e rapido per un popolo come il nostro, che nell'arco di 15 anni si è trasformato da terra di emigrazione a meta di immigrazione e ha naturalmente trovato i furbi pronti a sfruttare lo sbandamento e il senso di smarrimento che questo evento ha provocato. Purtroppo, la lunga crisi del modello economico italiano misto, del nostro capitalismo familista con il pannolone statalista, sembra arrivato al tramonto e quando la gente teme che il futuro sia peggiore del presente tende sempre, e ovunque, ad attribuirne la colpa agli "altri", a quelli "non come come noi", che siano ebrei, italiani immigrati, neri, arabi, asiatici. Non è questo che mi spaventa, è la totale abdicazione dei mediatori politici e culturali che dovrebbero aiutare la transizione culturale e sociale del nostro Paese.
Che effetto fa l'Italia di questi anni, anchilosata, goffa e incattivita, vista dall'Altro Mondo che ha appena eletto presidente uno come Barack Hussein Obama?
Una società morta, che divora i propri resti sperando di sopravvivere mangiando se stessa.
Se lei fosse costretto a diventare il capo della sinistra italiana, e le fosse impossibile dimettersi, quali sarebbero i tre primi provvedimenti che prenderebbe?
Cambiare il linguaggio, il vocabolario, la semantica. Studiare Berlusconi, Feltri, Grillo, Ferrara (Fede no, a tutto c'è un limite), capirne le tecniche, rifiutando la sostanza, e riconoscere che il "sinistrese", il "politichese", il "democristianese", la fumisteria del "problema è un altro" appartengono all'era giurassica della politica. Chi non comunica, non governa, come dimostrarono il disastro del governo Prodi e della sua incapacità di esprimersi. Quel "bamboccioni" di Padoa Schioppa è costato più di una tassa. Trovata la lingua, si deve trovare un'idea, non mille, una, da ripetere a ogni occasione, senza lasciarsi risucchiare nel pozzetto delle chiacchiere quotidiane e della miserabile vanità degli 8 secondi nel pastone degli orribili TG italiani. Non serve andare in tv cento volte, serve andarci una volta e dire una cosa che resta attaccata all'immaginazione. "Stay on message" si dice negli Usa, come ha fatto Obama che non si è mai fatto fregare dalle trappole create dagli avversari e ripeteva il proprio messaggio: "E' ora di cambiare". Meglio ripetere mille volte il messaggio sbagliato, che dare mille messaggi diversi. E, "last but not least", imparate ad ascoltare, non soltanto a parlare. Diceva Montanelli che il vero leader è colui che segue, non colui che guida.
Io vorrei chiederle un oceano di altre cose e far con lei un intero libro-intervista. Ma non posso abusare della sua pazienza e della sua gentilezza. E dunque la saluto, non solo cordialmente ma anche affettuosamente. Sia personalmente che a nome dei lettori, e delle molte sue lettrici!, di Konrad.
Luciano Comida
SCHEDINA DEL LIBRO
Quanto odiamo l’America? Quanto la amiamo? E come si fa a tener insieme questi due sentimenti? Ce lo racconta Vittorio Zucconi, corrispondente di Repubblica dagli Stati Uniti, direttore di Radio Capital, giornalista dal 1963. “
L’aquila e il pollo fritto” è (chi conosce gli articoli e i precedenti libri di Zucconi lo sa già) documentato e divertentissimo: la storia di un modenese che va a vivere negli Usa e dopo qualche anno prende la doppia cittadinanza (italiana e americana). Passando dagli uragani in Florida alla caccia ai fumatori, dalla scoperta dell’America al Ku Klux Klan, da piccole esilaranti vicende private all’epico funerale di Bob Kennedy, Zucconi mette in scena la varietà e la complessità di un grande paese. Quello che pochi giorni fa ha eletto presidente Barack Hussein Obama.
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