“Conosco dei vegetariani che mangerebbero vivo chi mangia carne, dei non fumatori che murerebbero vivo chiunque accenda una sigaretta, dei pacifisti che lavorano con me, ma sarebbero pronti a spararmi un colpo in testa se avessi un atteggiamento diverso dal loro. Il fanatismo è il gene del male ed è antico più di qualsiasi religione”.
A Cosenza, dove ha fatto tappa per ricevere il Premio Fondazione Carical Grinzane Cavour, parliamo con lo scrittore israeliano Amos Oz dei drammatici problemi della sua terra. Autore di romanzi di successo come Una storia d’amore e di tenebra e di saggi quali Contro il fanatismo, Oz, candidato al premio Nobel, ha la saggezza eloquente della gente che come lui vive isolata tra “conflitti e compromessi” alle soglie del deserto.
Qualcuno dice che il fanatismo non è imputabile alla mentalità araba e che viene prima dell’Islam. Qual è la sua opinione?
Un grande storico parla di guerra di civiltà fra Occidente e Islam, ma la vera guerra è tra il fanatismo, da qualunque religione provenga, e noi. Ci sono persone che fanno esplodere cliniche per gli aborti negli Stati Uniti o che non tollerano Sinagoghe e Moschee. Per la portata delle loro azioni, queste persone non si differenziano da Bin Laden. C’è fanatismo in ogni famiglia e in qualunque storia d’amore, ma se riusciremo a contenere il fanatico che è in noi saremo pronti a gestirlo.
Lei ha scritto che la Cisgiordania e Gaza non sono il Vietnam e l’Afghanistan. Una precisazione contro il fanatismo?
La guerra del Vietnam è stata la guerra di liberazione del popolo vietnamita contro una superpotenza; quella in Afghanistan è invece una guerra civile tra fanatici talebani e un governo più moderato. A Gaza in questo momento esiste un regime fanatico, quello di Hamas, che non vuole assolutamente scendere a patti con Israele. Nella parte occidentale però c’è adesso un regime palestinese più pragmatico, e forse ora è possibile raggiungere un accordo tra Israele e questa parte moderata.
Il governo israeliano è già al lavoro per un accordo?
Credo che ormai il governo sia incline a un atteggiamento molto pragmatico. La stessa cosa si può dire sostanzialmente del regime palestinese. Questo è il motivo per cui sono ottimista, sia pure con molta cautela. La gran parte del popolo israeliano e del popolo palestinese è pronta, io credo, ad accettare finalmente l’idea di due diversi Stati. Non assisteremo certamente a scene di giubilo nel momento in cui l’accordo sarà stipulato, però adesso persino i fanatici sanno che questa è la sola e unica prospettiva.
Qual è la situazione a Gaza in questo periodo?
Un milione di palestinesi sono oppressi da un regime islamico che terrorizza le popolazioni.
Gaza è sotto l’egida di Israele, ma bombarda e colpisce Israele sistematicamente tutti i giorni. Gli israeliani forniscono ai palestinesi alimenti e medicinali gratuitamente. E che cosa hanno in cambio? Bombe, gratis anche queste però.
Ma è possibile un accordo senza Hamas? E L’Europa sarà sempre così ipocrita con Israele?
Molto spesso l’atteggiamento dell’Europa è moralistico e paternalistico, con l’indice alzato alternativamente verso il popolo israeliano e palestinese. Ma questo non è un atteggiamento che può essere d’aiuto. Ciò di cui abbiamo bisogno dall’Europa è un supporto di tipo pratico per entrambi gli schieramenti. L’Europa dovrebbe dare il suo contributo per la risoluzione del problema dei rifugiati palestinesi del 1948, costruendo per loro degli alloggi e trovandogli un lavoro nel futuro Stato palestinese. Ma dovrà aiutare anche Israele rafforzandone la sicurezza nel momento in cui ci sarà un ritiro dai territori occupati. Gli europei devono essere molto equi nei loro atteggiamenti.
Lo storico Benny Morris dice che non si arriverà mai a una pace perché i palestinesi vogliono per loro tutta la terra. E anche lei di questa opinione?
Entrambi i popoli pretendono tutta la terra per loro, ma ormai tutti e due sanno che nessuno prevarrà sull’altro. Questa terra che noi chiamiamo Israele e loro Palestina deve essere divisa. Quasi sei milioni d’ebrei non andranno da nessuna parte, e anche i quattro milioni di palestinesi non si sposteranno da lì. Non possiamo certamente diventare un’unica famiglia felice: ci sono due famiglie infelici che dovranno dividere la casa in due appartamenti, non ci sono alternative.
Lo scrittor Mir Shahw ipotizza uno stato israeliano palestinese. È un’ipotesi realistica secondo lei?
Non credo in uno stato congiunto Israele-Palestina, così come non credo che Italia e Francia possano aggregarsi in un unico Stato. Israele e Palestina sono stati coinvolti in un sanguinoso conflitto per troppi anni, perciò è impossibile che a questo punto insieme convolino in una sorta di luna di miele. Credo fermamente in due diversi Stati.
Lei ha detto che i giovani hanno perduto la capacità di capire l’altro. Oggi l’ “altro” chi è per gli israeliani?
Tutti sono l’“altro”. Nei miei dieci comandamenti personali il primo nella lista è l’attenzione verso l’altro, che è alla base della moralità. Fare attenzione agli altri ci rende migliori, e ci dà la capacità di superare la pazzia con l’umorismo, un grande antidoto che presuppone comunque una capacità d’autoironia.
Qual è il suo punto di vista su questo premio dedicato al dialogo nel Mediterraneo?
Mi fa piacere la caratteristica di mediterraneità perché è importante incrementare il dialogo tra coloro che condividono vino e olive. Dobbiamo cercare di parlarci tra di noi e non affidare le nostre parole a perentori punti esclamativi.
di Francesco Mannoni, tratto da “L’Unione Sarda”, 1 ottobre 2007
Fa piacere il cauto ottimismo di Oz nei confronti della questione israeliano palestinese.Auguriamoci che lo ascoltino.
Cercherò fra i blog se c'è quello di Calderoli per inviargli le parole di Oz riguardo l'intolleranza verso le sinagoghe e le moschee.
Buonagiornata
Cristiaa
Scritto da: dicolamia | 04/10/2007 a 09:28
molto interessante, grazie di averlo postato per noi
ciaomarina
Scritto da: marina | 04/10/2007 a 09:40
Purtropo Amos Oz è una rara avis.
Nel conflitto tra israeliani e palestinesi si confrontano due opposti integralismi e in mezzo ci sono centinaia di migliaia di persone comuni (sia israeliane che palestinesi) che, vivendo quotidianamente nel terrore e nel conflitto, hanno paura per la loro stessa sopravvivenza e quando è in gioco un sentimento così primario, come la paura di essere uccisi, la necessità di sopravvivere, ragionare in maniera razionale, mantenere la capacità di vedere le cose anche dal punto di vista dell'altro diventa quasi impossibile.
E quindi, il compromesso, che forse non soddisfa completamente nessuno dei due contendenti, ma è l'unica soluzione possibile, diventa impraticabile proprio perché implica il riconoscimento delle ragioni dell'altro. Chi ha paura non riesce a fare questo.
Ma si diventa incapaci di riconoscere e comprendere l'altro anche in situazione meno tragiche di una guerra.
Ma nessuno di noi è esente dal rischio di perdere la capacità di riconoscere e comprendere l'altro, anche in situazioni meno drammatiche di una guerra.
Purtroppo il massimalismo, soprattutto di chi si ritiene virtuoso - come giustamente fa notare OZ, è esso stesso una forma di integralismo, magari non religioso, ma sempre integralismo.
Questo, ahimé, vale per tutti e anche da noi vedo tante persone che tendono a dimenticare questo concetto.
Scritto da: Eeka | 04/10/2007 a 12:25
Amo amos Oz a cui ho dedicato uno o più post. Bellal'intervista. Ciao Giulia
Scritto da: Giulia | 04/10/2007 a 14:07
Ho appena iniziato "una storia di amore e di tenebra", che viste le dimensioni e considerato il tempo che il pargolo mi concede per la lettura, durerá almeno un mese. Intanto mi sono gustato quest'intervista.
Scritto da: ma.ni | 05/10/2007 a 22:05