Sabato io e mia moglie siamo andati a far la spesa in supermercato. Come sempre abbiamo letto le etichette e gli ingredienti dei prodotti (anche di alcuni che non avevamo nessuna intenzione di acquistare): a volte scopriamo delle cose mirabolanti. Ad esempio quanto cocco c'è dentro una bibita denominata "COCCO E ANANAS": lo zero virgola quattro per cento. In pratica, quel "succo di frutta" è solo acqua, con zucchero e aromi che hanno visto la frutta attraverso il cannocchiale.
Eppure sull'etichetta trionfa un truffaldino "COCCO" (per non parlare dell'ananas).
Come tutelare i consumatori? Soprattutto visto che solo una piccolissima minoranza degli acquirenti si prende la briga di leggere gli ingredienti?
La soluzione è molto semplice ed equa: sull'etichetta gli ingredienti occupino uno spazio proporzionale alla loro quantità. Esempio: nella bibita il cocco è lo 0,4%? Ciò significa che, di conseguenza, sull'etichetta la scritta "cocco" potrà occupare uno spazio pari allo 0,4% della superficie.
Aaaaaaaaaaaaah e te e la signora Idefixa avete mai provato a fare un confronto delle tabelle caloriche tra
- biscotttini magretti magretti popo leggerini
e
- biscottini goduriosoni ce sta anche tuo cuggino orte ar buro e ar cioccolato
?
variazioni infime, rispetto alle promesse pubblicitarie!
Scritto da: zauberei | 22/10/2007 a 12:10
Perché invece le merendine o i biscotti al "gusto di"? Mica che ne so, al cioccolato, alla mandorla, al caffè, no "al gusto di" , ottenuto con gli aromi artificiali.
Ma da quando so che nei gelati industriali il pistacchio è fatto con gli spinaci... bleah...
Scritto da: Eeka | 22/10/2007 a 12:15
Io e Tatjana ne siamo degli appassionati. Ma la lettura degli ingredienti dei cibi e delle bevande appartiene al genere fantasy, horror, surreale o grottesco?
Scritto da: luciano / idefix | 22/10/2007 a 12:23
genere sado-maso,direi, perché ci si fa del male
Scritto da: gcanc | 22/10/2007 a 12:28
Mah direi grottesco-surreale.
In un noto biscotto dietetico ci sono delle misteriose "proteine di pisello". Ancora stiamo ridendo per l'ovvia battuta pecoreccia...
Scritto da: Eeka | 22/10/2007 a 12:28
Se le persone leggessero le etichette, ne traessero le conseguenze e dunque facessero i propri acquisti anche in base agli ingredienti, pensate che i produttori continuerebbero a venderci merda?
Scritto da: luciano / idefix | 22/10/2007 a 12:44
Penso che continuerebbero anche dopo eventuali multe e salassi.
Ricordo tempo fa che alcuni consumatori, fra cui io, decisero di boicottare (per altri motivi) alcune etichette.
Non e' successo nulla.
Continuano a scrivere cio' che vogliono, poi addirittura a dimostrazione che sono bravi e scrupolosi pagano la Rai per alcune trasmissioni sulla qualita' dei prodotti (trasmissioni che sono SEMPRE "mentirose" per dirla alla spagnola).
Cosa ci dicono in queste trasmissioni? Che siamo i migliori, che siamo all'avanguardia, che la merda la fanno altrove!
E noi che facciamo? La raccogliamo e/o ci adeguiamo.
Possiamo essere i migliori in qualcosa? Ci mancherebbe.
Scritto da: emma | 22/10/2007 a 13:06
Le aziende cosa temono? Di venir toccate sui soldi. E un modo per farlo è quello di NON comprare certi prodotti.
Faccio un esempio: se i consumatori non acquistassero più i biscotti contenenti grassi idrogenati, le industrie non li fabbricherebbero più. Non per una scelta etica o buonista ma perchè costrette dal mercato.
E allora un consumo attento e responsabile può indirizzare anche le scelte dei produttori.
Scritto da: luciano / idefix | 22/10/2007 a 13:39
Se le persone leggessero le etichette!..Magari lo facessero.
Io però lo faccio. Sono moltissimi i prodotti che non acquisto più. Sto decisamente meglio di salute (niente più mal di testa, pruriti, bruciori agli occhi e altro). Qui a Loano è possibile acquistare cibo sano dai produttori locali a prezzi bassi: basta informarsi e volerlo fare.
E poi il passa parola...
Scritto da: P@ola | 22/10/2007 a 13:46
ma tu credi che le stesse aziende che decidessero di non usare i grassi idrogenati e aumentassero per l'utilizzo di altri ingredienti il costo al consumatore, reggerebbero per molto il mercato quando arrivassero i biscotti prodotti da altra etichetta o da made in un kualalumpur qualunque con prezzi inferiori?
Bisogna essere realisti, se la gente puo' risparmiare spesso si avvelena anche.
Poi ci sono i consumatori niueig che se invece c'e' scritto biologico comprano anche a prezzo maggiore, poi se biologico non e' non importa.
Nello stesso carrello, accanto alla mela coltivata a puntino mettono il cibo per gatti che costa meno e il surgelato di pasta alla puttanesca cosi risparmiano un po' di tempo sui fornelli e col microonde risolvono il loro problema di coscienza risparmiando il gas e usando l'elettricita' per meno secondi.
Temo sia difficile, Luciano.
Scritto da: emma | 22/10/2007 a 13:47
Emma, P@ola: lo so che è difficile, che ci vuole tempo e impegno. E che alla fin fine può permetterselo solo chi ha qualche soldo.
Però d'altra parte in negozio vedo persone "povere" che comprano bibite gasate o acqua minerale: io bevo acqua di rubinetto. Ne guadagno in salute e in denaro.
Perciò alcune scelte NON dipendono dai soldi che uno ha oppure non ha.
Scritto da: luciano / idefix | 22/10/2007 a 14:26
io faccio la spesa al discount,e leggo le etichette come quando vado al supermercato.ebbene,nn solo il sapore di certe marche meno note è spesso migliore,ma pure la qualità degli ingredienti!ad es.:compro dei cornetti(le paste,non i gelati)senza grassi idrogenati,in confezione da 8, che costano 1.40 euro,il nome nn è conosciuto quanto quello di altri griffatissimi ma sono buoni,soffici.certo,bisogna valutare e saper scegliere,ma nn sempre prezzo alto equivale a qualità.è che spesso ci facciamo intrappolare dalla pubblicità,ci vergognamo di non spendere quanto gli altri,salvo poi avere brutte sorprese dopo(vedi la mattel,anche se non è roba mangereccia,la xicolosità dei suoi recenti prodotti la dice lunga!)
Scritto da: simona | 22/10/2007 a 14:41
Fa bene Simona a non cadere nella trappola "prezzo più alto uguale qualità più alta". Spesso significa soltanto "prezzo più alto uguale maggiore pubblicità"
Andate in libreria e cercate IL CODICE DA VINCI nell'edizione illustrata, credo costi sui 3O euro. Poi cercate UNA QUESTIONE PRIVATA di Beppe Fenoglio, lo trovate sui nove euro.
Il primo vale di più perchè costa tre volte tanto?
Scritto da: luciano / idefix | 22/10/2007 a 15:30
Non per niente una seguitissima trasmissione radio per i consumatori, da noi, portava il titolo
"Etichette"
l'archivio qui:
ttp://tinyurl.com/2myuo2
Scritto da: Yubi | 22/10/2007 a 15:42
La qualità dipende dai controlli che sempre più spesso vengono elusi o si trovano escamotage di legge per aggirarli.
Per esempio, per poter commercializzare in tutti i paesi UE il surrogato di cioccolato, è stata modificata la legge e ora ha la denominazione di cioccolato una qualsiasi cosa fatta con oli di palma, di cocco e schifi vari. Magari ha lo stesso sapore ma è molto meno sano del cioccolato
Scritto da: Eeka | 22/10/2007 a 15:42
Le etichette dovrebbero essere anche leggibli, da tutti, giovani e anziani, istruiti e no, senza bisogno della consulenza di un perito chimico al fianco che ci dica cos'è l' E125 o 146 o il microscopio portatile. Sabato, la Coldiretti a Cernobbio ha denunciato la circolazione di un gran numero di prodotti che, fabbricati in ogni dove, sono spacciati per italiani. Come si fa?
Scritto da: gcanc | 22/10/2007 a 15:58
difendersi? credo sia quasi impossibile....sull'etichetta grande o piccolo che sia il carattere usato possono scrivere ciò che vogliono se il sistema controllo-sanzione non funziona: in Italia? credo proprio che non funzioni!
Scritto da: giugiu | 22/10/2007 a 16:34
Beh! una curiosità:
generalmente il pane integrale dovrebbe essere - dovrebbe! - 100% farina integrale, ebbene no, ce n'è appena un 25-30%.
Viva la sincerità!
Felicità
Rino, integrale.
Scritto da: Rino | 22/10/2007 a 17:49
Almeno sono sinceri (forse)! Alcune società neanche scrivono la verità sulle etichette!
Ammetto che non guardo mai le etichette quando compro/mangio qualcosa. Mi limito a vedere cos'è. E poi non c'è da meravigliarsi se le aziende cercano/ci riescono a fregare le persone. Sono state create appositamente.
Scritto da: Lorenzo | 22/10/2007 a 18:50
E lo sapete che i dolci per diabetici fanno più male (a tutti, diabetico compreso)dei dolci "normali"? I primi contengono infatti una quantità di grassi maggiore dei secondi e, inoltre, i dolcificanti impiegati per sostituire il normale saccarosio, incidono comunque in maniera rilevante sull'andamento della glicemia. Quindi, se avete un amico o parente diabetico, fate meglio a regalargli una scatola di cioccolatini comuni, che sono più sani e più buoni. Potrà comunque mangiarne uno ogni tanto, magari con un po' di insulina in più!
Scritto da: Pucci | 22/10/2007 a 19:27
Come diceva il Maestro (il grande Totò)
"Questo caffè è una ciofeca, e allora chiamatelo ciofeca dello sport questo locale....."
(non sono sicuro al 100,00% ma la battuta esatta dovrebbe essere questa)
Scritto da: PrimodegliIgnoranti | 22/10/2007 a 19:34
Qui ci sono sempre delle discussioni interessanti, ciao Giulia
Scritto da: Giulia | 22/10/2007 a 21:05
Durante le mie vacanze toscane ho comprato delle salse al tartufo a cifre tutt'altro che irrisorie (adoro il tartufo!) nelle quali il tartufo era meno dell'1%. Strano, la cassiera del negozio non ha voluto che le pagassi all'1%!
Scritto da: Finazio | 23/10/2007 a 15:11
non solo, gliingredienti, spesso sono scritti a caratteri molto piccoli e poco contrastati, e chi, come me, ha problemi visisvi, non riesce assolutamente a legger gli ingredienti
Scritto da: paola dei gatti | 23/10/2007 a 20:17
per saperne di più, tratto dal Konrad di ottobre 2007, scritto dal merceologo Giulio Barocco:
Non siamo più al tempo del carosello e degli ingenui slogan privi di effetto, ora i messaggi pubblicitari hanno preso il nome più internazionale di claims e con questo anche la potenza del messaggio di induzione e di persuasione al consumo.
Fino a pochi mesi fa, gli imprenditori del settore alimentare potevano dire o scrivere “di tutto un po’” negli slogan, sulle pagine pubblicitarie e sulle confezioni per promuovere i loro prodotti.
Facciamo alcuni esempi: Merendina allo yogurt con fermenti lattici vivi - Fresca e nutriente - Adatta ai fabbisogni nutrizionali, oppure Caramelle al latte al gusto di frutta - Latte e frutta proprio come vuole la mia mamma. Sono slogan che sottintendono un importante valore nutrizionale del prodotto. In realtà. nel primo caso si tratta di una merendina con pochi grammi di yogurt per confezione, per la precisione 1,6 grammi e quindi un apporto irrilevante di fermenti lattici, il resto è grasso vegetale non dichiarato (25%), zucchero bianco (25%), latte (25%), farina ed aromi. Un prodotto tutt’altro che bilanciato. Nel secondo caso il claim è stato coniato per caramelle dedicate all’infanzia composte oltre che da zucchero, gelificanti, coloranti ed aromi anche da latte in polvere e sciroppo di fragola.
- Un’altra sfera di intervento dei messaggi pubblicitari insiste su aspetti salutistici come: migliora le funzione del tuo organismo. Una tale affermazione, presente su una confezione di zucchero arricchito con pochi grammi di fibra, rappresenta una grande trovata commerciale ma non ha rilevanza sullo stato di salute.
- Tralasciando ulteriori esempi ed i relativi commenti più o meno pesanti, tutti convergono da tempo sul fatto che il commercio di questo importante settore ha bisogno di regole chiare a tutela del portafoglio, ma soprattutto della salute. Molti claims nutrizionali o salutisti infatti non ci mettono al corrente dei reali apporti di nutrienti oppure dei reali effetti sulla nostra salute. Lo slogan elude la nostra naturale diffidenza per lo sconosciuto ed acquistiamo ed assumiamo senza un ragionevole dubbio quel bel e buon prodotto così, un po’ in fiducia.
Con il nuovo regolamento comunitario 1924/2006 finalmente giustizia è fatta. Questa norma infatti definisce a priori quali indicazioni possono essere utilizzate per evidenziare la composizione nutrizionale. Ad esempio potrà essere usato il claim: a basso contenuto di grassi esclusivamente se il prodotto contiene non più di 3 grammi di grassi per 100 grammi. Nell’allegato c’è una lunga e dettagliata lista di indicazioni nutrizionali consentite. Nel caso il produttore voglia coniare nuovi claims dovrà seguire la lunga procedura vagliata dall’Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare. Si richiede infatti che l’indicazione nutrizionale o salutare sia convalidata da dati scientifici accertati.
Ma dopo i primi attimi di entusiasmo si scoprono le solite eccezioni a tutela di altri. I misteriosi gruppi che riescono a garantirsi sempre delle vie di fuga.
L’esempio che conferma quali e quante siano le mani che hanno portato alla stesura del testo regolamentare è dato dalla possibilità per le industrie alimentari di continuare ad usare alcune denominazioni o marchi di fabbrica fino al lontanissimo 19 gennaio 2022. Per capirci si tratta, tra le tante, della linea Vitasnella di Danone oppure della gamma Fitness della Nestlè. Sono claims fusi con il marchio ed hanno un potente effetto sulla nostra percezione di salute alimentare. Allora perché aspettare il 2022?
Un altro dubbio sulla serietà di questo regolamento comunitario prende forma scoprendo che tutti i claims in uso prima del 1° gennaio 2006 e non compresi nella lista autorizzata, dovranno essere raccolti dagli stati membri e trasmessi a Bruxelles per la valutazione. L’enorme mole di indicazioni che verrà trasmessa da tutti i paesi comunitari, per tutti i loro prodotti nazionali, richiederà un lavoro certosino che si concluderà in teoria entro il gennaio 2009. Nell’ambiente, si sa già che i tempi non potranno essere rispettati e si spera quindi in una sanatoria. A conclusione della procedura tutti i claims approvati o sanati potranno essere impiegati in tutto il territorio europeo da qualsiasi impresa alimentare.
Per finire, i prodotti alimentari di nuova generazione, per poter fregiarsi di claims salutistici, supportati quindi da dati scientifici, potranno seguire due strade. Come abbiamo visto, l’impostazione di ricerche specifiche per sostenere le affermazioni dei claims oppure la progettazione di prodotti alimentari con composizioni particolari conformi ai dati già presenti in letteratura. Per assurdo, si potrebbe arrivare al fatto che un derivato caseario, uno pseudo formaggio sgrassato, potrà riportare in etichetta la menzione di previene l’aterosclerosi ed è più salutare di una mozzarella di bufala, sconfinando il significato profondo di salute e di composizione armonica dei prodotti anche agro - alimentari tipici e tradizionali. Prodotti questi che certo non potranno permettersi alcuna dizione salutistica poiché non supportata da costose ricerche.
Chi potrà quindi coniare nuovi claims e vendere di più? Non è difficile, la risposta è sempre la stessa.
Scritto da: alex | 24/10/2007 a 14:30
Trovo la tua un'ottima idea, ma se la si attua a livello quanto meno europeo, se no tanto vale. Ci mangiamo (anzi vi mangiate, ché qui giá ce le mangiamo) le schifezze importate.
Scritto da: ma.ni | 25/10/2007 a 22:03
Nei prossimi numeri di Konrad vorrei riprendere (anche con dei pezzi divertenti e provocatori) il tema.
Scritto da: luciano / Idefix | 26/10/2007 a 08:46
Sì, la considero una truffa, anche se immagino su due piedi almeno tre strategie difensive vincenti in un'aula di tribunale. Tendo ad acquistare solo succhi che contengono almeno il 50% di frutta. Prediligo quelli che ne promettono il 100%, anche se spesso la lettura dell'elenco degli ingredienti rivela qualcosa di diverso.
Scritto da: VQ | 28/10/2007 a 19:53
In merito all'argomento "marchi di fabbrica" vi segnalo il mio recente articolo: Etichettatura dei prodotti alimentari: La (dis)informazione dei marchi di fabbrica,
all'interno della mia rubrica TECNOLOGIA ALIMENTARE
(http://www.newsfood.com/category/23/tecnologia-alimentare/).
Potete contattarmi alla pagina
http://www.newsfood.com/q/c67cc8f1/per-mangiare-bene-e-vivere-meglio/
Scritto da: alf | 07/05/2009 a 15:40
Grazie della segnalazione. Io nemmeno ricordavo di averlo scritto, quel mio post.
Scritto da: luciano / idefix | 07/05/2009 a 15:54